Questioni bibliche Depressione: cosa dice la Bibbia?
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DEPRESSIONE: 

COSA DICE LA BIBBIA?



Prima di rispondere, dobbiamo necessariamente precisare che affronteremo l'argomento dal punto di vista prettamente spirituale, poiché non abbiamo competenze mediche. Il nostro intento è indagare le Scritture e cercare in esse rivelazione, partendo dal presupposto che ogni cosa che noi definiamo "problema" ha origine nel mondo spirituale e solo in esso può essere risolto (Ef 6:12).

Che cos'è la depressione? Di seguito riportiamo una definizione clinica:

"La depressione è una condizione clinica caratterizzata da una persistente sensazione di tristezza, disinteresse o perdita di piacere nelle attività quotidiane. È un disturbo dell'umore che può influenzare il modo in cui una persona pensa, si sente e gestisce le attività quotidiane. La diagnosi della depressione si basa su criteri specifici definiti nei manuali diagnostici come il DSM-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, Quinta Edizione).

Ecco alcuni dei sintomi comuni della depressione:

  1. Umore depresso: Sentimenti persistenti di tristezza, disperazione o vuoto.
  2. Perdita di interesse o piacere: Riduzione del piacere o interesse nelle attività che una volta erano gradite.
  3. Cambiamenti nel sonno: Disturbi del sonno, come insonnia o ipersonnia.
  4. Cambiamenti nell'appetito: Perdita di peso o aumento di peso significativo senza una dieta specifica.
  5. Fatica o perdita di energia: Sensazione costante di stanchezza o mancanza di energia.
  6. Sentimenti di colpa o inutilità: Pensieri negativi su sé stessi, sensazione di colpa e inutilità.
  7. Difficoltà di concentrazione o indecisione: Problemi nella capacità di concentrarsi o prendere decisioni.
  8. Pensieri suicidi o morbosità: Pensieri ricorrenti sulla morte o sul suicidio".

Quanto alle cause, ci sembra di capire che possano incidere fattori di varia natura, non solo ambientale o psicologica, ma anche biologica (ad esempio squilibri ormonali) o genetica (familiarità); in quest'ultimo caso, non è possibile identificare un vero e proprio evento scatenante.

Tutto questo ci serve innanzitutto a demolire un grave pregiudizio, e cioè che la depressione sia sempre un disturbo collegato a una vita spirituale assente o debole. Vedremo che non è così.

Ma cosa pensano i cristiani della depressione?

Abbiamo consultato diversi articoli, e abbiamo notato che, rispetto a qualche anno fa, si tende sempre di più a normalizzare il concetto di depressione: siamo passati dall'idea diun male attaccabile solo con preghiere di liberazione a quella di una patologia come tante, curabile con farmaci adeguati, senza tabù. Ovviamente, il ruolo centrale di Dio nella guarigione rimane indiscusso.

Tuttavia, a nostro avviso, non tutti i comportamenti depressivi possono essere riferiti alla vera e propria malattia depressiva. In particolare, la Bibbia ci lascia intravedere diverse casistiche:

a. caratteri/stili depressivi (non patologici)

b. stati depressivi dipendenti da circostanze esterne (transitori e non patologici)

c. stati depressivi dipendenti anche da circostanze interne (prolungati e potenzialmente patologici)

d. legami spirituali di morte e di suicidio (sempre patologici)

Ora, se non cerchiamo di capire bene la differenza tra tutti questi casi, non potremo essere d'aiuto per nessuno. La Parola, come al solito, ha una risposta a tutto, ma dobbiamo avere il coraggio di studiarla in verità.

a. Caratteri/stili depressivi: Geremia e il credente sfiduciato

Il lamento può essere sia un sintomo di zelo, sia di lassismo spirituale.

Il profeta Geremia è spesso associato a un tono di tristezza, dolore e lamentazione. Il suo ministero profetico si svolse durante un periodo di profonda crisi per il popolo di Israele, particolarmente durante il regno di Giuda: Geremia dovette annunciare giudizi divini, predire la distruzione di Gerusalemme e l'esilio del popolo, il che contribuì ad acuire il suo carattere malinconico.

Questi sono alcuni dei suoi lamenti: "Oh se la mia testa fosse acqua, e i miei occhi una fonte di lacrime! Piangerei giorno e notte gli uccisi della figlia del mio popolo" (Gr 9:1); "Guai a me, madre mia, che mi hai partorito uomo di contese e di liti per tutto il paese! Non ho prestato né a prestito, né alcuno ha prestato a me, e tutti mi maledicono" (Gr 15:10); "lamento di Geremia", in cui esprime il suo desiderio di non essere mai nato (Gr 20:7-18); "Ma se voi non date ascolto, la mia anima piangerà in segreto a causa del vostro orgoglio; gli occhi miei piangeranno amaramente e coleranno lacrime, perché il gregge del Signore sarà condotto in cattività" (Gr 13:17). A questo si aggiunge un intero libro di "Lamentazioni", che continua a effondere dolore per la sorte del popolo ebraico.

Geremia, dunque, ammette di avere una tendenza alla contesa. Il suo modo di esternare la disapprovazione e l'angoscia è il lamento, che, a differenza di altri profeti, è un tratto dominante, è la forma d'espressione privilegiata: questo significa che il modo di pensare di Geremia ne è fortemente condizionato.

Geremia, quindi, ha uno stile depressivo, ma non soffre di depressione; nel cap. 29:11, il profeta dice che Dio ha "pensieri di pace e non di male, per darvi un futuro e una speranza". Al di là del suo modo di essere, Geremia non è un personaggio negativo e conosce bene il Suo Dio, che è speranza.

Tuttavia, quando il lamento è generato da cause non spirituali, come l'eccesso di preoccupazione o la scarsa fede in Dio, bisogna intervenire. Paolo scrive: "Non affannatevi di nulla, ma in ogni cosa fate conoscere le vostre richieste a Dio in preghiere e suppliche, accompagnate da ringraziamenti. E la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù" (Fli 4:6-7); altrove, esorta i credenti a "rallegrarsi sempre, pregare senza posa, in ogni cosa rendere grazie: questa, infatti, è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi" (1 Te 5:16-18).

Questi passaggi suggeriscono ai credenti di concentrarsi sulla preghiera, sulla gratitudine e sulla fiducia in Dio, anziché lamentarsi.

b. Stati depressivi dipendenti da circostanze esterne: Elia e Giobbe (non riteniamo di dover prendere in considerazione altri casi, considerati depressi solo per qualche espressione di sconforto).

Elia e Giobbe non avevano alcuna colpa di quanto gli sarebbe capitato: anzi, possiamo dire che la loro giustizia scatenò l'inferno; e scatenò anche, in loro, degli stati di ansia, depressione e desiderio di morte.

In seguito alla feroce persecuzione di Jezebel, Elia disse, infatti: "'Signore, non ne posso più! Toglimi la vita, perché non valgo più dei miei padri'. Si coricò e si addormentò" (1Re 19:4-5). Possiamo immaginare che Elia si sentisse stanco e solo, oppresso dalla paura per la coppia reale che gli dava la caccia, e per un momento pensò che non valesse la pena continuare così. Ma poi Dio si manifestò, fornendogli del cibo che gli diede la forza per camminare quaranta giorni e quaranta notti fino all'Oreb, e rassicurandolo che c'erano altre settemila persone come lui che non avevano piegato il ginocchio a Baal. Elia prese coraggio e portò a termine la sua missione.

La storia di Giobbe ce lo mostra triste e depresso dopo aver perso tutti i figli e gli averi: "Andò a vivere tra i rifiuti e la cenere" (Gb 2:6); "maledisse il giorno in cui nacque" (Gb 3:2); "Invece di mangiare mi lamento, non posso trattenere le mie grida, perché mi piombano addosso i mali che temo, mi capita proprio quel che mi spaventa. Per me non c'è calma né riposo, conosco solo tormenti" (Gb 3:24-26). Giobbe, però, non si lasciò mai andare del tutto, anzi continuò a dialogare con Dio e affermò di essere certo che il Suo Redentore lo avrebbe riscattato dalla polvere (Gb 19:25-29), come infatti avvenne.

Come si vede, per tutto il tempo della loro angoscia, questi uomini hanno mantenuto viva la speranza in Dio, Lo hanno cercato, Lo hanno interrogato; Dio è sempre stato una costante, non è mai stato messo in discussione ed è intervenuto al tempo opportuno, apportando soluzioni e consolazione.

c. Stati depressivi dipendenti anche da circostanze interne: Davide

A differenza di Elia e Giobbe, Davide andò incontro a incredibili sofferenze anche a causa dei propri peccati. Le espressioni di amarezza che trapelano dai Salmi sono davvero numerose: "Sono esausto . . . io sono sfinito. Mi sento sconvolto", "Il dolore mi toglie le forze, passo le notti nel pianto, mi trovo in un mare di lacrime. Sono stanco" (Sl 6:3,4,7,8). "Fino a quando vivrò nell'angoscia, tutto il giorno con il cuore in pena?" (Sl 13:3). "Sono un uomo distrutto: nella pena si consumano i miei occhi, la mia gola, tutto il mio corpo. La mia vita si trascina nei tormenti, nel lamento se ne vanno i miei anni. Per il dolore mi mancano le forze, sento disfarsi anche le mie ossa, sono deriso dai miei avversari, e più ancora, dai miei vicini. Faccio paura a chi mi conosce, fugge via chi m'incontra per strada. Sono dimenticato da tutti come un morto, come un vaso rotto da buttar via" (Sl 31:10-13). "Sono immerso nelle colpe: un peso troppo grande per me", "Cammino curvo e sono sfinito, passo i miei giorni nel lutto", "Mi sento schiacciato e abbattuto" (Sl 38:5,7,9). "Mi sono chiuso nel silenzio, ho taciuto anche più del necessario, ma il mio dolore è diventato acuto. Dentro di me avevo un gran fuoco, più pensavo e più mi sentivo scoppiare" (Sl 39:3,4). "Mi sommergono molti mali, non li posso neppure contare. Le mie colpe mi opprimono, e non vedo più nulla. Sono più numerose dei miei capelli: ho perso ogni coraggio" (Sl 40:13). "Il mio peccato è sempre davanti a me" (Sl 51:5). "Mi sento scoppiare il cuore, mi ha afferrato il terrore della morte. Sono pieno di paura e timore, schiacciato dallo spavento" (Sl 55:5,6). "L'acqua mi arriva alla gola. Affondo in un mare di fango, non ho più un punto d'appoggio; sono caduto in acque profonde, la corrente mi trascina via! Sono sfinito", "Sono povero e afflitto" (Sl 69:2-4,30). "Mi sento mancare il respiro, il mio cuore viene meno" (Sl 143:4).

Le espressioni più tristi sono quelle in cui Davide ammette di essere schiacciato dal peso del proprio peccato; infatti, mentre le prove permesse da Dio per formarci sono un carico leggero (Mt 11:30) e non vanno oltre le nostre forze (1Co 10:13), le conseguenze per gli operatori di scandali possono essere insopportabili (Mr 9:42).

Alcuni peccati commessi da Davide scatenarono conseguenze terribili, come la morte prematura di due dei suoi figli, di cui un neonato, la violazione pubblica delle sue concubine da parte del figlio Absalom e la morte per peste di settantamila persone. Tutto questo non poté lasciare indifferente il re, che venne quasi sopraffatto dal dolore.

Infatti, dal numero e dalla frequenza dei lamenti, oltre che dalla loro intensità, possiamo supporre che Davide avesse sofferto di una vera e propria depressione che lo costrinse a prolungati stati di prostrazione e inattività.

Nonostante ciò, Davide non smette di sfogarsi attraverso la preghiera e la lode dei Salmi, non smette di cercare una risposta da parte di Dio e alla fine ammette che nessun male ha mai potuto vincerlo (Sl 129:2).

L'apostolo Paolo affermerà: "Noi siamo tribolati in ogni maniera, ma non ridotti all'estremo; perplessi, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; atterrati, ma non uccisi" (2Co 4:8-9).

La storia di Davide ci induce a fare un paio di osservazioni relative alla responsabilità personale.

1. Alcuni stati depressivi profondi possono essere provocati dal rimorso, dal senso di colpa o di vergogna per le proprie colpe. In questo caso, è necessario ammettere l'errore, riconciliarsi con Dio e cambiare direzione. "Non ritenerti savio ai tuoi occhi, temi l'Eterno e ritirati dal male; questo sarà guarigione per i tuoi nervi e un refrigerio per le tue ossa" (Pr 3:7-8).

Il noto psicologo canadese Jordan Peterson è stato criticato per aver ribadito che una delle chiavi per uscire fuori dal loop depressivo è smettere di auto percepirsi come vittima e iniziare a riconoscere le proprie responsabilità, mettendo in ordine la propria vita attraverso determinati step.

Sarebbe, quindi, un errore non aiutare la persona in questione a uscire fuori dal vittimismo e dall'abitudine di scaricare le responsabilità su altri soggetti.

2. L'elemento che ha impedito a Davide di sprofondare in un baratro peggiore è stato la ferma volontà di mantenere un dialogo costante con Dio e di non dimenticare il bene da Lui ricevuto. "Benedici, anima mia, l'Eterno e non dimenticare alcuno dei suoi benefici. Egli perdona tutte le tue iniquità e guarisce tutte le tue infermità, riscatta la tua vita dalla distruzione e ti corona di benignità e di compassioni; egli sazia di beni la tua bocca e ti fa ringiovanire come l'aquila" (Sl 103:2-5).

Viceversa, Giuda si fece prendere dal laccio del nemico quando disperò del perdono di Dio, perché non aveva conosciuto a sufficienza il Maestro e Gli aveva preferito il denaro. Questo lo portò alla morte.

Finora, abbiamo preso in esame stati depressivi che possono essere combattuti attraverso una ferma e costante fiducia in Dio e nella Sua infinita misericordia. Questo implica che la persona coinvolta gioca un ruolo attivo nella propria guarigione.

Cosa possiamo dire, invece, di quegli stati depressivi che sembrano non avere spiegazione?

d. Legami spirituali di morte e di suicidio: il Geraseno e il fanciullo con spirito sordo e muto

In Marco 5:1-20 vediamo un abitante di Gerasa legato da uno spirito di morte che lo costringe a vivere nei sepolcri. È scritto che il Geraseno "era spinto dal demone nei deserti"; in qualche modo, quindi, quest'uomo aveva una predilezione per i luoghi isolati, dove il diavolo poteva tormentarlo indisturbato. Gesù lo libera mandando gli spiriti maligni in un branco di porci: infatti, si trattava di una "legione" di demoni, e non di uno solo.

Anche nel caso del fanciullo indemoniato, notiamo in lui la presenza di più demoni; uno di essi è uno spirito di suicidio ("...e spesse volte lo ha gettato anche nel fuoco e nell'acqua per farlo perire", Marco 9:22), mentre gli altri sono lo spirito sordo e muto. Quando i discepoli chiedono a Gesù perché essi non siano riusciti a liberare il fanciullo, Gesù risponde che, contro certe specie di demoni, sono necessari il digiuno e la preghiera.

Tutti questi spiriti malvagi sono assoggettati a colui che Gesù definisce "omicida fin dal principio" (Giovanni 8:44): l'unico modo per vincere costui è attivare le strategie del combattimento spirituale.

Quando il problema ricorre nella stirpe, si parla di legame generazionale (Esodo 20:5; 34:7; Numeri 14:18; Deuteronomio 5:9); in questo caso, tocca alla chiesa, o a ministri specifici, intercedere per spezzarlo, mentre la persona coinvolta deve impegnarsi a vivere una vita consacrata a Dio (Ro 12:1-2).

In questo caso, la responsabilità individuale è relativa, perché la forza operante soggioga la volontà umana; fondamentale, invece, è il ruolo dei credenti, che agiscono per fede. Il padre del fanciullo indemoniato supplicò Gesù di sovvenire alla propria incredulità, perché Egli aveva affermato che la fede può ogni cosa.

Prima di concludere la nostra trattazione, vogliamo fare una doverosa precisazione che riguarda le malattie di origine organica o genetica. Se l'abbassamento dell'umore è provocato dalla carenza di un determinato elemento nell'organismo, si deve prediligere la via medica. Prendere medicine o integratori è giusto quando la natura si presenta con qualche difetto o compromissione. Per lo stesso motivo, assumiamo farmaci antiipertensivi, antidiabetici, ecc. Questo non esclude che Dio possa guarire in seguito alla preghiera di fede.

Facciamo il punto della situazione:

Ci teniamo a ribadire che il nome di Gesù è potente da abbattere qualsiasi fortezza e distruggere qualsiasi legame: Dio "può, secondo la potenza che opera in noi, fare smisuratamente al di là di quanto chiediamo o pensiamo" (Ef 3:20).

Con questo piccolo contributo, speriamo di poter essere d'aiuto per qualcuno. Dio ci benedica!

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