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QUESTIONI DIFFICILI


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36. John Nelson Darby fu colui nel XIX secolo divulgò con forza la dottrina del rapimento segreto. Possiamo accettare tale dottrina?

No. Si può discutere sulla collocazione temporale del rapimento rispetto al periodo della tribolazione (prima, durante o dopo), ma la Parola ci dà abbondanza di elementi per credere in un rapimento visibile e plateale. Data la complessità dell'argomento, suggeriamo di consultare il seguente articolo: Rapimento della Chiesa: segreto o visibile? Uno o due ritorni? Parliamone! nella sezione Studiare la Bibbia.


35. Buongiorno, ieri ho appreso di un matrimonio misto (evangelico pentecostale e cattolico), avvenuto in una chiesa cattolica. Che cosa dice la Bibbia di tutto ciò?

Data la complessità della domanda, rimandiamo all'articolo dedicato, Matrimoni misti: sono possibili, secondo la Bibbia? nella sezione Vita cristiana pratica


34. Chi è che trattiene la manifestazione dell' Anticristo (katèchon)?

Scorri la pagina fino alla Questione n. 14.

33. In una lettera, l'apostolo Paolo parla di un uomo che salì in paradiso e noi sappiamo che quest'uomo era Paolo stesso. Ma dove andò, di preciso?

Leggiamo il brano in oggetto, includendo tutto il contesto:

Certo il vantarsi non mi è di alcun giovamento; verrò quindi alle visioni e rivelazioni del Signore. Io conosco un uomo in Cristo che, quattordici anni fa (se con il corpo o fuori del corpo non lo so, Dio lo sa), fu rapito fino al terzo cielo. E so che quell'uomo (se con il corpo o senza il corpo, non lo so, Dio lo sa), fu rapito in paradiso e udì parole ineffabili, che non è lecito ad alcun uomo di proferire. Io mi glorierò di quel tale, ma non mi glorierò di me stesso, se non delle mie debolezze (2Corinzi 12:1-5).

Il fatto che si tratti proprio di Paolo è deducibile dalla contrapposizione, da lui effettuata, tra l'uomo carnale, che ha poco da vantarsi, e l'uomo spirituale, che invece ha sperimentato gloriose rivelazioni.

Paolo, qui, afferma di essere stato rapito in spirito fino al "terzo cielo", lasciando, quindi, dedurre l'esistenza di altri due cieli; del resto, in Ge 1:1, è scritto che Dio fece "i cieli" e la terra.

In Genesi 1:8, è scritto che "Dio chiamò il firmamento cielo", ma ai vv. 6-8 si parla "di acque sotto il firmamento e acqua sopra il firmamento"; per questo motivo, si tende a credere che il primo cielo sia quello "sotto il firmamento", corrispondente all'atmosfera, e il secondo il firmamento vero e proprio, in cui si trovano il sole, la luna e le stelle. A questo punto, la dimora di Dio, in cui si trovano il Suo trono e la Sua gloria, sarebbe nel terzo cielo, quello in cui Paolo venne rapito in Spirito.

Nelle Scritture, il terzo cielo è definito, a più riprese, "cieli dei cieli", ovvero "i cieli per eccellenza" (1Re 8:27; 2Cr 2:6; 6:18; Ne 9:6; Sal 148:4), mentre il "paradiso" sarebbe il luogo dell'incontro dell'uomo con Dio (Lu 23:43) che, alla fine dei tempi e del Giudizio, si identificherà con la Nuova Gerusalemme (Ap 2:7; Ap 21:1-3; 22:1-5).Attualmente, quindi, il paradiso non è stato ancora preparato.

L'esperienza di Paolo, dunque, è da intendersi come un fatto puramente spirituale. Paolo stesso specifica di non saper dire se il rapimento in spirito sia avvenuto con il corpo oppure no; la sua è stata una visione del trono e della gloria di Dio, e un'anticipazione di quello che aspetta i redenti per l'eternità.


32. In Atti 17:26, nella seconda parte del verso, è scritto che Dio determina i confini e i tempi per tutti i popoli. In che senso?

Leggiamo questi due versetti, che fanno parte dell'evangelizzazione di Paolo nell'Areopago, ad Atene:

Atti 17:26 Egli ha tratto da uno solo tutte le nazioni degli uomini perché abitino su tutta la faccia della terra, avendo determinato le epoche loro assegnate e i confini della loro abitazione, 27 affinché cerchino Dio, se mai giungano a trovarlo, come a tastoni, benché egli non sia lontano da ciascuno di noi.

Prendiamo in considerazione tutto il contesto del discorso di Paolo: al v. 27, l'apostolo mette in evidenza il motivo per cui Dio definisce luoghi e tempi, che non ha certo a che fare con la proprietà della terra. Infatti, Paolo sta dicendo semplicemente che, affinché ciascun uomo possa essere indotto a cercare Dio "come a tastoni", Lui ha collocato ogni individuo in un determinato contesto geografico e storico. Senza un contesto di riferimento, l'uomo non potrebbe vivere né interagire con i suoi simili, né essere evangelizzato o ricevere il Signore.

Nel caso degli Ateniesi evangelizzati da Paolo, per esempio, il fatto di abitare ad Atene in quell'epoca, di per sé, poteva essere irrilevante, ma trovarsi nell'Areopago mentre Paolo evangelizzava in quel preciso momento permise loro di approfondire la fede cristiana, e alcuni trovarono la salvezza. Non è il territorio a favorire la ricerca del Signore, ma lo sono le circostanze determinate da Dio in un dato luogo e tempo (infatti il termine utilizzato per indicare il tempo stabilito da Dio per ciascuno è καιρός, che significa proprio "tempo opportuno" alla persona interessata).

Questo significa che Dio non ha mai stabilito confini?

No. Il popolamento della Terra dopo il diluvio da parte di Sem, Cam e Iafet è avvenuto secondo modalità miranti alla diffusione omogenea dell'uomo su tutta la terra (Ge 10; Dt 32:8), e, al tempo di Abramo, Dio ha assegnato determinati confini a tutta la sua discendenza, nell'ambito della terra assegnata a Sem, per portare a termine i Suoi propositi di benedizione/maledizione conseguenti alla scelta umana di seguirLo oppure no (Ge 12:4-7;15:18-21;17:8- per approfondire, leggi l'articolo Palestina: terra di chi?).

In 1Corinzi 10:26, però, è scritto che "La terra e tutte le buone cose che essa contiene appartengono a Dio": quindi, il fatto che una certa etnia abiti un certo luogo non significa che ne abbia diritto al possesso esclusivo e permanente. Tra l'altro, in tempi di estrema mobilità, quali quelli attuali, questo assunto sembra fin troppo evidente. Inoltre, la promessa fatta ad Abramo riguardo a una discendenza numerosissima che avrebbe colonizzato il mondo intero (Rm 4:13) è da intendersi spiritualmente, perché la discendenza di Abramo è spirituale e si realizza in Cristo, come spirituale è l'Israele a cui sono riservate le promesse (Rm 9:6).

Concludendo, possiamo dire che nessuno può ritenersi proprietario di un certo territorio per diritto acquisito, se non Dio che ha creato tutto.


31. Come mai, in 1 Re 19:15, Dio dice che Elia deve ungere re Hazael, ma poi questo non accade?

Ecco il passo in oggetto:

1Re 19:15 Il Signore gli disse: «Su, ritorna sui tuoi passi verso il deserto di Damasco; giunto là, ungerai Hazaèl come re di Aram. 16 Poi ungerai Ieu, figlio di Nimsi, come re di Israele e ungerai Eliseo figlio di Safàt, di Abel-Mecola, come profeta al tuo posto. 17 Se uno scamperà dalla spada di Hazaèl, lo ucciderà Ieu; se uno scamperà dalla spada di Ieu, lo ucciderà Eliseo. 18 Io poi mi sono risparmiato in Israele settemila persone, quanti non hanno piegato le ginocchia a Baal e quanti non l'hanno baciato con la bocca».

Quindi, Elia doveva:

1. Ungere Hazael come re di Aram

2. Ungere Ieu come re di Israele

3. Ungere Eliseo come profeta al suo posto.

Ma cosa successe, dopo questa indicazione?

Successe che Elia unse soltanto Eliseo: infatti, al v. 19 troviamo scritto che "gli gettò addosso il suo mantello", quindi l'unzione consistette in questo gesto altamente simbolico; di lì a poco, il profeta sarebbe stato rapito in cielo.

Fu Eliseo, invece, a provvedere all'unzione di Ieu, stavolta con l'olio vero e proprio, ma secondo una modalità piuttosto bizzarra: non lui direttamente, ma un discepolo doveva ungerlo, cogliendolo di sorpresa e poi scappando subito dopo (2Re:9).

E Hazael? Stavolta l'incontro con Eliseo non si può definire in alcun modo una unzione. Infatti, è scritto che Hazael fu mandato da Ben Hadad, il re di Siria, a chiedere a Eliseo se sarebbe guarito dalla propria malattia; Eliseo gli rispose che sarebbe guarito, ma in ogni caso sarebbe morto: il profeta sapeva, infatti, che sarebbe stato proprio Hazael a ucciderlo (2Re 8:8-10).

Quando, però Eliseo vide Hazael, "egli irrigidì il suo volto con uno sguardo fisso fino ad arrossire; quindi l'uomo di DIO pianse. Allora Hazael domandò: «Perché piange il mio signore?». Egli rispose: «Perché so il male che tu farai ai figli d'Israele: tu darai alle fiamme le loro fortezze, ucciderai i loro giovani con la spada, sfracellerai i loro bambini e sventrerai le loro donne incinte». Hazael disse: «Ma cos'è mai il tuo servo, un cane, per fare così grandi cose?». Eliseo rispose: «L'Eterno mi ha fatto vedere che tu diventerai re di Siria»" (2Re 8:11-13).

Abbiamo appena letto che, di fronte a Hazael, Eliseo ebbe manifestazioni di disagio, fino al pianto, perché sapeva che quest'uomo avrebbe fatto molto male al popolo d'Israele. Ecco perché, verosimilmente, non ci fu alcuna unzione, ma solo una profezia sulla futura nomina a re di Siria (v. 13).

Ricapitolando, possiamo ipotizzare i seguenti scenari:

- Elia ebbe solo il tempo di ungere Eliseo, a cui avrebbe delegato il compito di ungere Ieu e Hazael

- Eliseo, preso da sentimenti di tristezza e dolore, si rifiutò di essere "complice" dei futuri crimini di Hazael contro Israele; la sua fu, quindi, una disubbidienza a Dio, il quale portò comunque a termine il Suo piano, e cioè quello di usarsi di Hazael per punire Israele ("Allora l'ira dell'Eterno si accese contro Israele e li diede nelle mani di Hazael, re di Siria, e nelle mani di Ben-Hadad, figlio di Hazael, per tutto quel tempo, 2Re 13:3).

Evidentemente, Eliseo non accettava lo strumento che Dio aveva scelto per purificare il suo popolo; in realtà il piano di Dio era perfetto, perché sia Ieu che Hazael dovevano estirpare l'idolatria dalla casa d'Israele- Ieu sterminando la casa di Acab e Iezebel, e Hazael facendo ricadere le conseguenze del peccato sul popolo di Israele, come monito.

Nei profeti, frequentemente vediamo che Dio usa re e nazioni come strumento di giudizio verso popoli idolatri e disobbedienti; questo non esclude il perdono di Dio di fronte al pentimento, e non esclude neppure che quegli stessi re e quelle stesse nazioni possano essere a loro volta giudicate allo stesso modo dai popoli pentiti (anche Hazael e la sua casa sarebbero stati giudicati per le loro abominazioni, Amos 1:3-4).

L'essere umano può non comprendere questa realtà e, quindi, come nel caso di Eliseo, rifiutarsi di accettarla.


30. Secondo la Bibbia, i dinosauri sono esistiti?

Essendo la trattazione dell'argomento molto estesa, rimandiamo all'articolo dedicato (Secondo la Bibbia, i dinosauri sono esistiti?) nella sezione Questioni storico-archeologiche.


29. Il "discepolo che Gesù amava" è comunemente identificato con Giovanni, ma non è scritto da nessuna parte nella Bibbia che fosse proprio lui, e quindi non è certo che fosse stato proprio lui a correre al sepolcro insieme a Pietro. Anche di Lazzaro, per esempio, è detto che Gesù lo amasse molto.

La perifrasi "il discepolo che Gesù amava" è chiaramente riferibile a Giovanni in base a un determinato passo che si trova alla fine del Vangelo da lui scritto.

Innanzitutto, specifichiamo che solo Giovanni ha utilizzato questa espressione, per quattro volte, nel vangelo di cui è autore:

  • Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù, Gv 13:23.
  • Gesù allora, vedendo sua madre e presso di lei il discepolo che egli amava, disse a sua madre: «Donna, ecco tuo figlio!», Gv 19:26.
  • Allora andò di corsa da Simon Pietro e dall'altro discepolo che Gesù amava e disse loro: «Hanno tolto il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'abbiano posto», Gv 20:2.
  • Allora il discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore». Simon Pietro, udito che era il Signore, si cinse con la veste (perché era nudo) e si gettò in mare, Gv 21:7
  • Or Pietro, voltatosi, vide che li seguiva il discepolo che Gesù amava, quello che durante la cena si era anche posato sul petto di Gesù e aveva chiesto: «Signore, chi è colui che ti tradisce?», Gv 21:20.

Come è possibile notare, Giovanni è al centro dell'attenzione in queste fasi cruciali della vita, morte e resurrezione di Gesù. Diversi commentatori, quindi, ritengono che l'apostolo abbia voluto dare un segnale di modestia, spostando l'attenzione da sé stesso, autodefinitosi discepolo, a Gesù, legato a lui attraverso un rapporto di amore. Infatti, essendo Giovanni allo stesso tempo autore e personaggio, rischiava di incorrere in accuse di autoesaltazione.

Possiamo escludere l'ipotesi dell'identificazione con Lazzaro perché, per quanto Gesù lo amasse, egli non è mai definito suo discepolo. Se anche lo fosse stato, non era nella cerchia dei dodici, gli unici presenti al momento dell'ultima cena, alla quale partecipò "il discepolo che Gesù amava".

È interessante che tutti i Vangeli concordino sul fatto che solo i discepoli parteciparono all'ultima cena con Gesù (Mt 26:20; Mr 14:17; Lc 22:10; Gv 13:5); in particolare, Matteo specifica: "Venuta la sera, si mise a mensa con i Dodici". Lazzaro non era nel numero dei Dodici.

A questo punto, diamo un'occhiata a questa conversazione tra Pietro e Gesù, con la quale si conclude il Vangelo di Giovanni:

"Pietro allora, voltatosi, vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, quello che nella cena si era trovato al suo fianco e gli aveva domandato: «Signore, chi è che ti tradisce?». Pietro dunque, vedutolo, disse a Gesù: «Signore, e lui?». Gesù gli rispose: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, che importa a te? Tu seguimi». Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: «Se voglio che rimanga finché io venga, che importa a te?».
Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti; e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera", Gv 20:20-25.

Finalmente, alla fine della sua opera, precisamente al v. 24, Giovanni svela che quel famoso discepolo che Gesù amava, che aveva appoggiato il capo sul Suo petto e di cui Pietro aveva chiesto cosa ne sarebbe stato è proprio lui, che ha reso testimonianza di queste cose e la cui testimonianza è verace. 

A questo punto, per proprietà transitiva, è facile dedurre che fosse stato proprio Giovanni a correre al sepolcro insieme a Pietro.


28. In Giovanni 1:12 una traduzione riporta "autorità" di diventare figli di Dio, un'altra invece riporta "diritto" di di diventare figli di Dio. Cosa comporta quel termine, al di là della corretta traduzione?

Il termine greco che traduce quel termine è ξουσία, che presenta una vasta gamma di significati interessanti. I termini della lingua greca sono spesso polisemantici, o comunque presentano diverse sfumature di significato che completano il concetto.

  • La concordanza Strong spiega il termine così: "privilegio, cioè (soggettivamente) forza, capacità, competenza, libertà, o (oggettivamente) padronanza (concretamente magistrato, sovrumano, potentato, segno di controllo), influenza delegata: - autorità, giurisdizione, libertà, potere, diritto, forza".
  • La concordanza Thayer prende in esame tutti i contesti in cui il termine compare nella Bibbia:

1) Potere di scelta, libertà di fare ciò che si vuole

1a) Congedo o permesso

2) Potenza fisica e mentale

2a) L'abilità o la forza di cui si è dotati, che si possiede o si esercita

3) Il potere di autorità (influenza) e di diritto (privilegio)

4) Il potere di governo (il potere di colui la cui volontà e i cui comandi devono essere sottomessi da altri e obbediti)

4a) Universalmente

4a1) Autorità sull'umanità

4b) Particolarmente

4b1) Il potere delle decisioni giudiziarie

4b2) Dell'autorità di gestire gli affari interni

4c) Metonimicamente

4c1) Una cosa soggetta all'autorità o alla regola

4c1a) Giurisdizione

4c2) Colui che possiede autorità

4c2a) Un governante, un magistrato umano

4c2b) I principali e più potenti tra gli esseri creati superiori all'uomo, i potentati spirituali

4d) Un segno dell'autorità del marito sulla moglie

4d1) Il velo con cui la decenza richiedeva che una donna si coprisse

4e) Il segno dell'autorità regale, una corona

  • Il lessico Louw-Nida suggerisce i seguenti campi semantici:

a Autorità per governare

B Giurisdizione

C Simbolo dell'autorità

D Governatore

e Controllo

f Potenza

G Potere soprannaturale

h Diritto di giudizio

Possiamo concludere che "diritto" e "autorità" sono entrambe traduzioni valide, e danno perfettamente il senso di che cosa significa diventare figli di Dio: infatti, non si tratta semplicemente di una scelta, ma di un vero e proprio diritto (ereditato per i meriti di Cristo), che comporta l'acquisizione di autorità nel mondo spirituale.


27. Quale potrebbe essere un piano sistematico biblico?

Non esiste un piano ideale, ma ci sono diverse app, programmi o iniziative che forniscono piani personalizzati e coinvolgenti, come YouVersion, laparola.net, Parole di vita e il canale whatsapp di Elpidio Pezzella. Il nostro consiglio è, comunque, quello di non abbandonare la lettura individuale della Bibbia, aperta agli spunti dello Spirito Santo. Per maggiori info, puoi leggere il nostro articolo Come posso avviare un piano efficace di studio biblico? nella sezione Studiare la Bibbia.


26. Si può tornare a servire se si è stati ammoniti per un periodo? 

La riprensione non ha alcun senso se non mira a un ravvedimento del credente ed a un suo reinserimento nella comunità e nel servizio. Dobbiamo comprendere innanzitutto la mentalità di Dio, che non punisce in modo fine a sé stesso, ma piuttosto dà a chi sbaglia la possibilità di riflettere sui propri errori. Nella Bibbia abbiamo vari esempi di riprensione: Davide fu richiamato da Nathan a proposito dei suoi gravissimi peccati, ma poi, dopo un periodo molto triste dovuto alle conseguenze di tali errori, Dio stesso lo consolò donandogli un altro figlio, e fu ancora usato dal Signore per altre vittorie (2Sa:11,22). Lo stesso accadde a Pietro, che, pur essendo stato ripreso pubblicamente da Paolo per la sua ipocrisia (Ga 2:11-14), non smise di essere grandemente usato nell'apostolato con segni, miracoli e prodigi (At 9;10,11). Quando Paolo impone alla chiesa di Corinto di cacciare il fornicatore, specifica che è per la salvezza dello spirito (1Co 5:5) e crediamo di poter affermare che la parabola del figlio prodigo sia abbastanza eloquente circa il trattamento del Padre verso il figlio pentito: nessun rinfaccio, ma anzi doppio onore. Lo stesso Paolo si trovò a cambiare idea su Marco, inizialmente rifiutato come compagno di viaggio in quanto colpevole di indegnità (At 15:37-39), ma poi ripreso con sé e giudicato molto utile, evidentemente in seguito a buona condotta (2Tm 4:11).


25. Quando la Bibbia parla dell'intimità tra un uomo e una donna, spesso incontriamo l'espressione "si unì a lei". Si riferisce solo a un fatto carnale oppure anche spirituale?

Prima di rispondere a questa domanda, dobbiamo specificare che questa espressione è una traduzione: il testo greco dell'Antico Testamento (Septuaginta) presenta un'espressione che è traducibile con "entrò da lei", ma il senso non cambia e attiene proprio a una unione fisica. Per esempio, così è descritto l'incontro tra Giacobbe e Lea (Ge 29:3), Giacobbe e Bila (Ge 30:4), Giuda e Sua (Ge 38:2), Davide e Bath Sceba (1Sa 11:4; 12:24): non sempre, quindi, si tratta di unioni matrimoniali regolari.

L'intento di Dio è quello di unire la coppia in matrimonio per farne "una sola carne" (Ge 2:23-24), e questo si riferisce anche a uno stretto legame spirituale, oltre che fisico: ecco perché l'unione fra Cristo e la Chiesa è paragonata a un matrimonio. Lo scopo del matrimonio è, dichiaratamente, quello di fare un miracolo, e cioè fondere due esseri distinti in una singola e potentissima unità, cementificata attraverso l'amore, la sottomissione e il servizio reciproco.

Chiarito lo scopo di Dio per la coppia, però, dobbiamo sottolineare che la sua realizzazione non è garantita se non dalla maturità dei due coniugi e dalla loro volontà di collaborare per il bene comune. Alcuni fallimenti lampanti sono visibili anche nelle Scritture: per esempio, Abigail aveva uno spirito saggio e pacifico, molto diverso rispetto a quello dell'arrogante marito Nabal (1Sa 25:3-42), nonostante la donna non avesse alcuna responsabilità; in questo caso, Dio si comportò in modo diverso con i due, premiando Abigail e punendo Nabal.

Alcune coppie, invece, come Abramo e Sara o Isacco e Rebecca, sono presentate come modello di unione coniugale e di unità d'intenti; tuttavia, in una prima fase, questa complicità, priva di discernimento e di confronto costruttivo, provoca degli errori di valutazione, come quando sia Abramo che Isacco mentono nel presentare le proprie spose come sorelle (Ge 20:2; 26:7), o quando Abramo accetta passivamente l'idea di Sara di unirsi ad Agar (Ge 16:2). In questo caso, entrambi i coniugi pagarono le conseguenze dei loro errori.

Alcune dottrine moderne parlano dell'unione intima tra l'uomo e la donna come veicolo di influenze spirituali, positive o negative. Non troviamo, nella Bibbia, alcun luogo che confermi questa ipotesi; tuttavia, deduciamo che, ad esempio, se un uomo decide di intrattenersi con una prostituta, il peccato di lussuria, adulterio e ribellione è già attivo in lui prima che avvenga il rapporto. Come disse Gesù, infatti, indugiare nel pensiero del peccato equivale a commetterlo.

D'altra parte, esiste invece il problema delle influenze spirituali. Alcuni passi della Bibbia suggeriscono che la compagnia con persone non timorate di Dio ha conseguenze mortali ("Non vi ingannate: le cattive compagnie corrompono i buoni costumi", 1Co 15:33), ma è anche vero che il credente, con la sua buona testimonianza, santifica tutta la casa ("perché il marito non credente è santificato nella moglie, e la moglie non credente è santificata nel marito, altrimenti i vostri figli sarebbero immondi; ora invece sono santi", 1Co 7:14).

Proprio per salvaguardare l'unità spirituale della coppia, che è unità spirituale con Dio stesso, Egli ha vietato le unioni illecite e peccaminose (adulterio, Mt 5:27-28; omosessualità, Le 18:22; fornicazione, 1Co 6:18; incesto. Le 18:6-18). Dio è santo e non può avere comunione con ciò che è impuro.


24. Due dubbi sulla Pasqua:

1. Da quel che leggiamo nella Bibbia, considerando anche il parallelo con l'Antico Testamento, sembra che la Pasqua cristiana debba servire a ricordare la morte di Gesù, piuttosto che la Sua risurrezione (in entrambi i casi, il pane e il vino fanno riferimento al sacrificio dell'agnello).

2. In inglese, il termine "Easter" fa riferimento a usanze pagane che riguardano il culto dei campi e che non hanno niente a che fare con la Bibbia. Si può ammettere l'introduzione di simboli pagani nella Pasqua, ad esempio il coniglio o l'uovo?

1. Il termine "Pasqua" traduce l'ebraico "pesàch" (passaggio). Come sappiamo, l'Antico Patto è anticipazione del Nuovo, ovvero il Nuovo è l'adempimento dell'Antico. Il passaggio del Mar Rosso da parte del popolo eletto, dalla schiavitù d'Egitto alla libertà verso una terra promessa da Dio, prefigura il passaggio del credente dalla schiavitù del peccato alla libertà in Cristo. Come gli Ebrei scamparono al faraone grazie al sangue dell'agnello asperso sugli stipiti delle porte delle case, così il credente viene risparmiato dalla morte eterna attraverso il sangue di Cristo, agnello perfetto, applicato al proprio cuore.

Da Ebreo, Gesù celebrò la Pasqua con i discepoli, ma lo fece spiegando che, da quel momento storico, Lui sarebbe stato l'adempimento della Pasqua, in quanto agnello sacrificale perfetto (infatti Paolo dirà che "Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato", 1Co 5:7-8); in tal senso, mangiare la Pasqua sarebbe consistito, come anticipato in Gv 5 e 6, nel "mangiare la Sua carne e bere il Suo sangue", assumendo il pane e il vino, simboli del Suo corpo spezzato e del Suo sangue sparso per noi. Questa espressione significa che chi ha creduto nel sacrificio di Gesù può accedere a un'intima comunione con Lui, in quanto reso figlio di Dio e partecipe della natura umana e divina di Cristo, dunque Suo confratello (Mr 3:31-34; Rm 8:29).

Nell'ultima cena Gesù ci ha lasciato un'indicazione importante, che è quella di celebrare questo tipo di Pasqua, e cioè la santa cena con il pane e il vino, fino al Suo ritorno e al ristabilimento del Regno di Dio, momento in cui la Pasqua avrà il suo pieno compimento in quanto il "passaggio" dei redenti all'eternità sarà terminato e tutti i salvati saranno la Sua delizia particolare (Ap 18: 8; 20-24); a quel punto, Egli sarà saziato del frutto della vigna (Lu 22:1-18).

In questo senso, ogni volta che celebriamo la santa cena noi celebriamo la Pasqua, cioè ci ricordiamo del corpo e del sangue di Cristo donati per noi, per riscattarci dal peccato e dalla morte; in Atti 2:42-48, vediamo che la Chiesa primitiva celebrava la cena del Signore ogni giorno per le case dei credenti.

Il fatto, però, che Gesù avesse istruito i discepoli sulla Pasqua poco prima di essere ucciso, non significa che Egli volesse ricordare la Sua morte, ma solo che quello era l'ultimo momento utile per comunicare. Ciò che dà senso al nostro riscatto è la resurrezione, che, ovviamente, passa per la morte di Cristo; solo così si compie il "passaggio" dalla morte alla vita del credente, perché, risorgendo, Cristo ha vinto la morte.

2. A questo proposito, possiamo dire che i Giudei convertiti continuarono a celebrare la festività della Pasqua, non più come prescrizione della Legge, ma come ordinamento di Cristo; in Atti 15, infatti, è scritto che gli apostoli, riuniti in concilio a Gerusalemme, stabilirono di abrogare qualsiasi prescrizione esteriore della legge mosaica, per far posto all'osservanza della legge del cuore, ribadendo, però, i quattro punti fermi della Legge da cui non recedere (astenersi dal sangue, dagli idoli, dalla fornicazione e dagli animali soffocati).

I pagani, invece, conobbero e celebrarono la Pasqua nel modo prescritto da Gesù per la prima volta. Non ci risulta, dalle Scritture, che facessero diversamente o che osservassero altri rituali.

Il problema nasce in seguito alla lunga serie di compromessi insorti nella chiesa a partire dal terzo-quarto secolo: la fine delle persecuzioni ebbe un costo, e fu l'accettazione passiva del sincretismo religioso, ovvero l'invasione di riti e usi profani nelle cose della fede. È storia che i vari imperatori che acconsentirono alla tolleranza verso il cristianesimo (Teodosio e Costantino in testa) decisero, poi, di prenderne il controllo, fondando una chiesa di Stato che permettesse a chiunque di aderire alla fede "a buon mercato", senza liberarsi dalle pratiche idolatriche, magiche e superstiziose che erano tanto diffuse.

A nostro avviso, non è mai opportuna l'accettazione passiva di elementi o tradizioni atte a contaminare la genuinità della fede, in questo caso simboli superstiziosi e richiami alla prosperità; lo stesso Gesù rimproverò chi metteva la tradizione umana davanti alla Parola di Dio (Mr 7:8). Anche se non possiamo uscire dal mondo (1Co 5:10) abbiamo, invece, la possibilità di mantenerci puri da esso e di non inquinare le nostre menti con desideri e pensieri carnali (Gm 2:21-23). 


23. Perché Satana non può ravvedersi?

Partiamo da un principio basilare nella Bibbia: quello della responsabilità.

Possiamo definire "responsabilità" la facoltà di intraprendere liberamente una certa iniziativa, e di assumersene le conseguenze, di fronte alla conoscenza del bene e del male.

Secondo la giustizia perfetta di Dio, maggiore è la conoscenza, maggiore è la responsabilità nei confronti della scelta; maggiori, quindi, sono anche le conseguenze della trasgressione (si veda l'approfondimento nell'editoriale La gloria accessibile a pochi, nella sezione Editoriali).

La conoscenza degli esseri viventi non è uguale per tutti, ma dipende dalla loro natura; per cui angeli, uomini e animali hanno un diverso grado di conoscenza, che, seguendo questo ordine, è decrescente.

Gli angeli sono creature di natura spirituale (Eb 1:14), anche se hanno una personalità, e sono stati creati con lo scopo di adorare Dio (Sl 148:2) e aiutarlo nella Sua interazione esterna con gli uomini (At 8:26; Ap 22:9). La loro collocazione è in cielo (Sl 148:1), dove compaiono al cospetto di Dio (Gb 1:6; 2:1), e contemplano il Suo trono e la Sua gloria di continuo, al punto che la loro lode è spontanea e ininterrotta (Ap 5:8-13). Conoscono bene la Parola di Dio (Gm 2:19; Ap 12:12) ed hanno poteri soprannaturali, come trasformarsi in esseri umani (At 10:3) e maneggiare gli elementi della natura (Ap 7:1).

Gli uomini sono creature di natura terrena (Ge 2:19) e sono stati creati per moltiplicarsi e riempire la terra (Ge 1:28), oltre che per avere comunione con Dio (Ge 1:26). La loro vita, però, si svolge sulla Terra; non vedono Dio direttamente (morirebbero, Es 33:20) e lo conoscono in modo imperfetto, ma lo percepiscono attraverso una comunione intima e intenzionale con Lui, attraverso lo Spirito Santo, che agisce internamente, se essi lo consentono (1Co 6:19; 2Co 13:13).

Gli animali sono stati creati per l'uomo (aiuto/compagnia) e sono sottoposti a lui, per cui hanno una libertà limitata e relativa (Ge 1:26; 30). Non hanno lo spirito, per cui non possono interagire con Dio attraverso lo Spirito Santo, e obbediscono all'istinto di sopravvivenza, anche se la loro anima gli permette di avere sentimenti ed emozioni.

Da quel che sappiamo attraverso la Bibbia, agli angeli non è stato dato di alcun avvertimento circa la trasgressione, evidentemente perché contemplano a occhi aperti Dio e la Sua Parola (Is 6:2-7), anche se non hanno preveggenza (Mt 24:36); l'uomo, invece, a cui è stata impedita la visione di Dio, è stato espressamente avvisato da Lui all'atto della sua creazione. Diversamente, gli animali non vivono il problema etico del bene e del male, perché agiscono per istinto (Amos:3-4; 1Sa 17:34;2Re 2:23-24).

Vogliamo aggiungere un'altra osservazione. L'uomo è caduto nel peccato perché ingannato da Satana (Ge 3:1), mentre Satana ha peccato perché si è innalzato contro Dio, cercando di spodestarlo (Is 14:12-15). Questo non toglie gravità al peccato in sé, ma aggrava la responsabilità del nemico, il quale, oltre ad essere caduto, cerca di trascinare altri nella morte eterna.

Ricapitolando:

Satana sapeva fin dal principio a cosa sarebbe andato incontro, ma il suo orgoglio lo accecò (Is 14:13). Lo stesso Isaia si mostra meravigliato di questa tracotanza (Is 14:12), ma la verità è che "la superbia precede la rovina, e lo spirito altero precede la caduta" (Pr 16:18); non c'è intelligenza né lungimiranza nel peccato. La gravità del peccato di Satana è data dal disprezzo del proprio privilegio (era l'angelo più bello di tutti, Lucifero) e dal tentativo di spodestare Dio, abusando della propria posizione e manipolando intere schiere di angeli; egli non ha scuse, e non ne ha mai avute, perché ha visto Dio fin dal principio ed è stato da Lui onorato, ma, nonostante ciò, Lo ha misconosciuto.


22. Che cos'è la "mezza tribù" di Manasse e chi è Manasse?

La storia della mezza tribù di Manasse è narrata soprattutto in Numeri 32 e Giosué 13, nel contesto della divisione della terra di Canaan tra le tribù israelite.

La mezza tribù di Manasse è il risultato di una richiesta fatta da alcuni membri della tribù di Manasse a Mosè durante il periodo dell'esodo, insieme alle tribù di Ruben e Gad. Quando gli Israeliti si stavano preparando per entrare nella terra promessa, Ruben, Gad e mezza tribù di Manasse chiesero a Mosè di assegnare loro una porzione di terra a est del Giordano.

Il motivo di questa richiesta può essere attribuito alle esigenze di pascolo per il bestiame; inoltre, queste tre tribù erano soddisfatte delle terre a est del Giordano e non desideravano attraversare il fiume per prendere parte alla conquista della terra di Canaan a ovest del Giordano: "Or le greggi dei figli di Ruben e le greggi dei figli di Gad erano molto numerose; e videro la terra di Iazer e la terra di Gilead e videro che il luogo era un luogo per greggi. Vennero dunque i figli di Gad e i figli di Ruben e parlaron a Mosè e al sacerdote Eleazaro e ai capi dell'assemblea, dicendo: «Ataroth, Dibon, Iazer, Nimra, Hesbon, Eleale, Sebam, Nebo e Beon, il paese che il SIGNORE ha percosso davanti all'assemblea d'Israele è un luogo per greggi, ed i tuoi servi hanno greggi. Prego dunque che si dia il paese in eredità ai tuoi servi, che ci fai passare il Giordano» (Nu 32:1-5)

Mosè acconsentì alla richiesta, a condizione che essi partecipassero comunque alla conquista della terra a ovest del Giordano. Queste tribù mantennero la loro parte della promessa e contribuirono all'impresa della conquista di Canaan.

Ma chi era Manasse?

Manasse era uno dei due figli di Giuseppe, che era a sua volta uno dei dodici figli di Giacobbe. Manasse e suo fratello Efraim furono adottati da Giacobbe come suoi figli, e divennero così capi di tribù a tutti gli effetti; infatti, Manasse è spesso menzionato nella narrazione biblica come uno dei capi delle dodici tribù di Israele.

Stando al racconto biblico, in Genesi 48, Giacobbe in punto di morte benedisse i figli di suo figlio Giuseppe, ma pose la sua mano destra su Efraim, il più giovane, e la sua mano sinistra su Manasse, il primogenito, incrociando le mani. Questo atto sorprese Giuseppe, ma Giacobbe spiegò che Efraim avrebbe avuto una discendenza più grande di quella di Manasse. Ecco le parole di Giacobbe in Genesi 48:19: "(…) egli diventerà anche lui un popolo e anche lui sarà grande; nondimeno il suo fratello minore sarà più grande di lui e la sua discendenza diventerà una moltitudine di nazioni.'"

In seguito, durante la storia biblica, la tribù di Efraim divenne effettivamente una delle tribù più influenti e numerose di Israele. Il termine "Efraim" venne talvolta usato per riferirsi a tutto il Regno del Nord (Israele) nel periodo post-conquista, indicando l'influenza preminente della tribù di Efraim in quella regione. Quindi, la profezia di Giacobbe è stata interpretata come un riconoscimento profetico del futuro ruolo prominente della tribù di Efraim rispetto a Manasse.


 21. Se Gesù dice che Giovanni il Battista era Elia, perché Giovanni negò di esserlo?

Leggiamo il passo di riferimento:

E questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme dei sacerdoti e dei leviti per domandargli: «Chi sei tu?». Egli lo dichiarò e non lo negò, e dichiarò: «Io non sono il Cristo». Allora essi gli domandarono: «Chi sei dunque? Sei tu Elia?». Egli disse: «Non lo sono!». «Sei tu il profeta?». Ed egli rispose: «No!». Essi allora gli dissero: «Chi sei tu, affinché diamo una risposta a coloro che ci hanno mandato? Che dici di te stesso?». Egli rispose: «Io sono la voce di colui che grida nel deserto: Raddrizzate la via del Signore, come disse il profeta Isaia» (Giovanni 1:19-23).

In Matteo 11:14, però, Gesù afferma che "egli è l'Elia che doveva venire". Perché?

Indubbiamente, sia Gesù che Giovanni dicevano la verità; Giovanni, dunque, si presentò in base alla propria identità, definendosi "voce" e specificando il proprio ruolo profetico e subordinato al Messia.

Tuttavia, Gesù utilizzava spesso un linguaggio simbolico e metaforico, per non farsi comprendere dai duri di cuore e d'orecchi; dunque, si riferì a Giovanni come il nuovo Elia, per confermare l'autorità del Battista nel preparare la via al Messia e per indicarne la tempra spirituale.

Per maggiori dettagli, vedi la Questione n. 4.


20. Molte volte mi è capitato che Dio mi parlasse per una determinata cosa, e poi, nella fattispecie, non è andata così. Perché? 

Vista la complessità dell'argomento, ti suggeriamo di consultare l'articolo Come posso sapere se è Dio che mi sta parlando? in Vita cristiana pratica


19. I nostri animali domestici li ritroveremo in cielo? In cielo si lavorerà? Come si può rispondere a queste domande con la Bibbia?

La prima domanda è stata trattata nella Questione n. 10 (scorrere la pagina).

Quanto alla seconda domanda, la risposta è NO. Diamo un'occhiata ad alcuni passi.

In Romani 8:18-21, Paolo afferma: "Io ritengo, infatti, che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi. La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità - non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa - e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio".

In altre parole, l'apostolo spiega che l'attuale creazione è solo l'ombra della futura nuova creazione di Dio, che risplenderà della Sua gloria e non conterrà alcun elemento di sofferenza o caducità. Infatti, in Apocalisse 21:4, è scritto che nella Nuova Gerusalemme, ovvero la nuova terra in cui abiteremo per sempre con Dio, "non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate", e Dio promette di dare "a colui che ha sete gratuitamente acqua della fonte della vita. Chi sarà vittorioso erediterà questi beni; io sarò il suo Dio ed egli sarà mio figlio" (vv.6-7). Anche in Romani 8:23 Paolo conferma che "gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo": infatti avremo un corpo nuovo, spirituale (1 Co 15:52). 

Dunque, in cielo avremo corpi spirituali e godremo di beni spirituali, e cioè, come abbiamo letto, l'essere finalmente e concretamente figli di Dio, essendo sempre in Sua presenza ("La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l'Agnello", Ap 21:23). Che si tratti di beni spirituali ce lo conferma anche Gesù quando dice ai Suoi discepoli: "Non fatevi tesori sulla terra, dove la tignola e la ruggine consumano, e dove i ladri scassinano e rubano; ma fatevi tesori in cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove i ladri non scassinano né rubano", Matteo 6:19-21.

Cosa faremo, dunque, in cielo? Nulla che possa procurarci affanno, come abbiamo visto. Non ci sarà alcun bisogno di lavorare, perché non ci sarà bisogno di mangiare o di cose materiali per la sopravvivenza, in quanto avremo un corpo glorificato, spirituale, ma, soprattutto, in quanto entreremo nell'eternità (Gv 3:16). Contempleremo Dio faccia a faccia e, come tutte le creature spirituali che lo servono, lo adoreremo in eterno (Ap 4:8-9; 5:8, 11, 14; 7:11; 14:3; 19:4)


18. Perché è scritto che "Rachele rifiuta di essere consolata"? (Mt 2:18; Gr 31:15)

Leggiamo l'intero paragrafo, in Matteo: 16-18:

Erode, accortosi che i Magi si erano presi gioco di lui, s'infuriò e mandò ad uccidere tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio dai due anni in giù, corrispondenti al tempo su cui era stato informato dai Magi. Allora si adempì quel che era stato detto per mezzo del profeta Geremia:

Un grido è stato udito in Rama,
un pianto e un lamento grande;
Rachele piange i suoi figli
e non vuole essere consolata, perché non sono più
.

E cosa aveva detto il profeta Geremia? Leggiamo Geremia 31:15-16:

Così dice il Signore: «Una voce si ode da Rama,
lamento e pianto amaro:
Rachele piange i suoi figli,
rifiuta d'essere consolata perché non sono più».
Dice il Signore:
«Trattieni la voce dal pianto,
i tuoi occhi dal versare lacrime,
perché c'è un compenso per le tue pene;
essi torneranno dal paese nemico.

Come sappiamo, le profezie bibliche hanno:

1- un adempimento a breve termine e uno a lungo termine.

2- un significato letterale e uno spirituale

1a. Adempimento a breve termine. La profezia di Geremia ebbe la sua prima realizzazione quando i giovani forti di Israele vennero deportati a Babilonia, provocando il dolore di Israele.

1b. Adempimento a lungo termine. Il Vangelo di Matteo specifica che, quando Erode sterminò un'intera generazione di bambini, si adempì la scrittura di Geremia 31:15.

2a. Significato letterale. Nel Vangelo la profezia si riferisce allo sgomento di Israele per la strage degli innocenti da parte di Erode, mentre nel brano di Geremia, esplicitamente richiamato da Matteo, il dolore è provocato dall'esilio dei giovani Israeliti in seguito alla deportazione a Babilonia.

2b. Significato spirituale. Cos'hanno in comune le due profezie? Rachele è figura di Israele (in quanto moglie prediletta di Giacobbe, ma che stenta a partorire figli suoi), e in entrambi i casi piange e non vuole essere consolata, ma, in Geremia, Dio la esorta ad asciugare il suo pianto, perché l'esilio finirà e ci sarà un tempo di restaurazione. In breve, Israele si trova in stato di lutto e non riesce a trovare la consolazione del Signore. Piange perché i suoi figli muoiono spiritualmente, in quanto non afferrano la salvezza, ma allo stesso tempo rifiuta la consolazione, che poi è la soluzione. Perché?

L'unico modo per ottenere vera consolazione è accogliere Gesù nel proprio cuore. Se qualcuno non riesce a trovare pace e conforto, può essere solo per aver respinto il principe della pace, Gesù. Israele, stando anche alle parole di Gesù, aveva maltrattato e ucciso tutti i profeti mandati da Dio, e Gesù stesso non fu riconosciuto dalla maggior parte dei Suoi compaesani (Gv 1:10); non riuscì neanche a fare molti miracoli a causa della loro incredulità (Mt 13:58).

Israele venne colpita molte volte da Dio a causa della propria ribellione, e sia la deportazione, sia la strage dei bambini dai due anni in giù, furono tragedie permesse per far sì che il popolo piegasse il cuore al Signore, permettendogli, così, anche di intervenire con la Sua consolazione. Ancora una volta, però, Israele indurì il suo cuore.

Come promesso in Geremia 31, però, il Signore è pronto a intervenire in favore di chiunque gridi a Lui, ed ha promesso che ci sarà un residuo che conoscerà la salvezza anche tra gli Israeliti (Romani 9:27).


17. Si considera sposata, secondo la Bibbia, una donna che ha avuto figli da un uomo senza essersi sposata con lui legalmente?

Vista la complessità dell'argomento, ti suggeriamo di consultare l'articolo Quando una coppia si considera sposata e quando no? in Vita cristiana pratica 


16. Gradirei ricevere approfondimenti su Matteo 5:19:

Chi, dunque, avrà trasgredito uno di questi minimi comandamenti e avrà così insegnato agli uomini, sarà chiamato minimo nel regno dei cieli; ma colui che li metterà in pratica e li insegnerà, sarà chiamato grande nel regno dei cieli.

Questo versetto si spiega sicuramente calandolo nel suo contesto. Poco prima Gesù aveva specificato di essere venuto "non per abrogare, ma per portare a compimento la legge e i profeti" (v.17); questo significa due cose:

· Gesù non è venuto per delegittimare la Legge, che è buona, in quanto ci spiega come funziona la giustizia di Dio (Ro 7:12)

· Gesù non è venuto, però, neanche a rinnovare il vecchio patto di Dio con Israele, perché esso è stato sostituito dal nuovo patto con l'umanità intera, attraverso il sangue di Cristo (Ro 8:13; Eb 8), grazie al quale la Legge è stata scritta nei nostri cuori (Ge 31:33)

· Gesù è venuto per delegittimare l'osservanza farisaica dei comandamenti, che consisteva nel "colare il moscerino e inghiottire il cammello (Mt 23:24). Al v. 20, infatti, Gesù ribadisce: "Se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e dei farisei, voi non entrerete affatto nel regno dei cieli"; come afferma subito dopo, infatti, la trasgressione avviene già quando la mente ha partorito il peccato, e non solo all'atto pratico.

· Gesù è venuto per ribadire che l'osservanza dei comandamenti consiste in "giustizia, misericordia e fede" (Mt 23:23; Os 6:6), ciò che i farisei avevano trascurato, applicandosi invece al rispetto di precetti e norme esteriori.

Dio sa che siamo del tutto incapaci di osservare i comandamenti se il nostro cuore non viene trasformato dalla Sua grazia; dunque, solo i nati di nuovo potranno accedere al regno dei Cieli, e saranno glorificati se avranno insegnato la vera e unica Via. Coloro, invece, che avranno rifiutato il sacrificio di Cristo e, dunque, non saranno stati purificati dalla vecchia mentalità, saranno chiamati minimi nel regno; ma il peggio è che, ovviamente, non potranno neanche accedervi.


15. La Bibbia permette il divorzio in caso di violenza domestica?

Vista la complessità dell'argomento, ti suggeriamo di consultare l'articolo  Divorzio e nuove nozze: quando è possibile? nella sezione Vita cristiana pratica 


14. Cos'è o chi è ciò che trattiene la manifestazione del figlio della perdizione in 2 Tessalonicesi 2:6-7?

"Ora, fratelli, circa la venuta del Signore nostro Gesù Cristo e il nostro incontro con lui, vi preghiamo di non lasciarvi così presto sconvolgere la mente, né turbare sia da pretese ispirazioni, sia da discorsi, sia da qualche lettera data come nostra, come se il giorno del Signore fosse già presente. Nessuno vi inganni in alcun modo; poiché quel giorno non verrà se prima non sia venuta l'apostasia e non sia stato manifestato l'uomo del peccato, il figlio della perdizione, l'avversario, colui che s'innalza sopra tutto ciò che è chiamato Dio od oggetto di culto; fino al punto da porsi a sedere nel tempio di Dio, mostrando sé stesso e proclamandosi Dio. Non vi ricordate che quand'ero ancora con voi vi dicevo queste cose? Ora voi sapete ciò che lo trattiene affinché sia manifestato a suo tempo. Infatti, il mistero dell'empietà è già in atto, soltanto c'è chi ora lo trattiene, finché sia tolto di mezzo. E allora sarà manifestato l'empio, che il Signore Gesù distruggerà con il soffio della sua bocca, e annienterà con l'apparizione della sua venuta", 2 Tessalonicesi 2:1-8.

In questo passo, Paolo sta parlando dell'anticristo, che, alla fine dei tempi, raggiungerà il massimo dell'empietà sedendosi nel Tempio e proclamandosi Dio; ci sono riferimenti a questo evento anche in Daniele 11:31 (Forze da lui mandate si leveranno per profanare il santuario-fortezza, sopprimeranno il sacrificio continuo e vi collocheranno l'abominazione che causa la desolazione) e Daniele 12:11 (Ora, dal tempo in cui sarà abolito il sacrificio continuo e sarà eretta l'abominazione che causa la desolazione, vi saranno milleduecentonovanta giorni), oltre che nel sermone profetico di Gesù («Quando dunque avrete visto l'abominazione della desolazione, predetta dal profeta Daniele, posta nel luogo santo (chi legge intenda)», Mt 24:15).

Se l'anticristo prenderà il controllo della terra, sarà solo perché Dio glielo permetterà, sia chiaro.

Al tempo stabilito, gli sarà dato potere "per 42 mesi" (Ap 13:5) di "far guerra ai santi e vincerli" (Ap 13:7; Da 7:21), fino al glorioso ritorno di Cristo, che ristabilirà il Suo regno (Ap 20:2-7).


13. "Ricordatevi della moglie di Lot. Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà; ma chi la perderà, la salverà" (Lc 17:32-33). In genere, per i protagonisti delle parabole c'è una sola possibilità di scelta, o di fare il bene, o di fare il male; invece, per l'uditorio delle parabole sembra che ci sia una seconda possibilità di scelta. Perché, se Dio è giusto giudice?

In realtà, solo gli angeli hanno una sola possibilità di scelta: adorare e servire Dio, oppure no. Anche se non siamo in grado di percepirlo, Dio dà infinite possibilità all'essere umano, e questo sin da quando l'uomo è stato creato. Infatti, per ben 14 volte Dio definisce sé stesso "misericordioso e pietoso, lento all'ira, ricco in benignità". La stessa moglie di Lot avrà avuto infinite possibilità di ravvedersi prima che arrivasse la distruzione; ma, quando Abramo si mise a intercedere presso Dio in favore di Sodoma, il Signore gli rivelò che non c'era più speranza per quella città, in quanto in essa non c'era neppure un giusto (Gn 18:23-33). La prova è che, nella Sua compassione, Dio aveva deciso di salvare l'intera famiglia di Lot, compresa la moglie; ma essa, anziché cogliere l'occasione, aveva guardato indietro, dimostrando che il suo cuore era legato al peccato.

Anche nel caso degli abitanti di Ninive, vediamo che Dio non mandò a effetto la profezia di distruzione, perché essi si erano ravveduti (Giona 3). "Io provo forse piacere se l'empio muore?», dice il Signore, DIO. «Non ne provo piuttosto quando egli si converte dalle sue vie e vive?" (Ezechiele 18.23).


12. Che cosa vuol dire "se non ascolterà l'assemblea, sia per te come un pagano o un pubblicano"? (Mt 18:17)

Riproponiamo il passo per intero, in modo da poter fare riflessioni adeguate.

Se il tuo fratello commette una colpa, va' e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all'assemblea; e se non ascolterà neanche l'assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano. In verità vi dico: tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo.

Iniziamo a specificare che questa indicazione non è un invito a non perdonare; Gesù ha insegnato che il perdono va dispensato all'infinito, e solo qualche verso più tardi, alla domanda di Pietro sul numero di volte in cui attivare il perdono, Gesù risponde: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette», Mt 18:21.

Il perdono va dato in modo incondizionato, ma c'è una cosa che non si può trascurare: il ravvedimento della persona che ha sbagliato, che è tanto importante quanto può mettere in discussione la salvezza dell'anima. Il consiglio di Gesù è attuare una serie di richiami sempre più pressanti, al fine di indurre la persona ad ammorbidirsi; l'ultima spiaggia, ad un eventuale rifiuto persistente, è privare della comunione fraterna il peccatore impenitente. La conferma ci viene dalla sentenza dell'apostolo Paolo di fronte a un sedicente credente che conviveva con la moglie del padre: "nel nome del Signore nostro Gesù, essendo radunati insieme voi e il mio spirito, con il potere del Signore nostro Gesù, questo individuo sia dato in balìa di satana per la rovina della sua carne, affinché il suo spirito possa ottenere la salvezza nel giorno del Signore" 1Co 5:4-5.

Il pagano e il pubblicano erano figure che non avevano nulla a che fare con il popolo di Dio, e avevano la caratteristica di condurre una vita non santa, piena di peccato e sfidante la signoria di Dio (il pubblicano era il riscossore dei tributi, che si accaparrava gli appalti con truffe e comportamenti corrotti); Gesù sta dicendo che chi non si ravvede si rende simile a questi personaggi, e come tale va trattato. Solo la durezza di un provvedimento del genere può indurre una riflessione, e, quindi, un pentimento sincero.


11. In Apocalisse 20:4 si parla dei credenti vissuti durante la "grande tribolazione"? Che cos'è la "prima resurrezione"?

Abbiamo ritenuto di poter dare un'unica risposta a entrambe le domande che ci sono pervenute. Leggiamo il testo in questione:

Poi vidi dei troni. A quelli che vi si misero seduti fu dato di giudicare. E vidi le anime di quelli che erano stati decapitati per la testimonianza di Gesù e per la parola di Dio, e di quelli che non avevano adorato la bestia né la sua immagine e non avevano ricevuto il suo marchio sulla fronte e sulla mano. Essi tornarono in vita e regnarono con Cristo per mille anni. Gli altri morti non tornarono in vita prima che i mille anni fossero trascorsi. Questa è la prima risurrezione. Beato e santo è colui che partecipa alla prima risurrezione. Su di loro non ha potere la morte seconda, ma saranno sacerdoti di Dio e di Cristo e regneranno con lui quei mille anni, Apocalisse 20:4-6.

Dobbiamo fare una necessaria premessa: noi non pretendiamo di avere in tasca la rivelazione perfetta dell'Apocalisse, che è un libro escatologico e, quindi, fortemente criptico. Pertanto, specifichiamo che le nostre linee guida sull'Apocalisse sono frutto della nostra interpretazione, che può divergere da altri tipi di teologie.

Secondo le nostre deduzioni, dunque, contestualmente al rapimento della Chiesa, avverrà la "prima resurrezione", che riguarderà tutti coloro che sono morti in Cristo fino a quel momento, martiri e non. Leggiamo, infatti, in 1Tessalonicesi 4:15-17: "Ora vi diciamo questo per parola del Signore: noi viventi, che saremo rimasti fino alla venuta del Signore, non precederemo coloro che si sono addormentati, perché il Signore stesso con un potente comando, con voce di arcangelo e con la tromba di Dio discenderà dal cielo, e quelli che sono morti in Cristo risusciteranno per primi; poi noi viventi, che saremo rimasti, saremo rapiti assieme a loro sulle nuvole, per incontrare il Signore nell'aria; e così saremo sempre col Signore.

Confrontando questi due passi, ricaviamo che:

  • Poco prima del rapimento della Chiesa, ci sarà una prima risurrezione di tutti coloro che sono morti in Cristo e non hanno ceduto all'influenza di Satana
  • Queste persone regneranno con Cristo per mille anni
  • Al termine di questo periodo, queste persone saranno sedute su dei troni per giudicare il resto dei morti, all'atto del giudizio universale e, quindi, della seconda resurrezione (Apocalisse 20:11-15; Daniele 12:2)



10. I nostri animali saranno con noi in Paradiso?

Un'antica leggenda indiana racconta che, quando un animale finisce la sua vita terrena, raggiunge il "ponte dell'arcobaleno", una sorta di percorso celeste che lo porta dritto in Paradiso; qui non piove mai, c'è un'atmosfera totalmente idilliaca e l'animale viene consolato dal male eventualmente ricevuto sulla Terra, mentre aspetta pazientemente il suo padrone. La gioia raggiunge il culmine quando, infine, lo vede spuntare dall'arcobaleno per godere insieme a lui l'eternità.

Ultimamente, complice il web, questa leggenda sta letteralmente spopolando anche tra i cristiani, molti dei quali hanno preso l'abitudine di augurare "buon ponte" al proprio amico peloso che se n'è appena andato. E qui, a mio avviso, dovrebbe accendersi un campanello d'allarme; perché le parole, si sa, tradiscono le nostre reali convinzioni. E, allora, per quale ragione dovremmo augurare "buon ponte" al nostro amico peloso (e non)?

Ci sono almeno due elementi che richiedono un punto di domanda: 1) gli animali possono andare in Paradiso? 2) il Paradiso è la meta finale di tutti, come narra la leggenda?

Non c'è neanche bisogno di sottolineare che tale leggenda non ha riscontro nelle Scritture; se, però, diciamo che il nostro unico fondamento è la Parola, dovremmo stare in guardia davanti a simili contraffazioni; qui si parla, infatti, di eternità e Paradiso, due elementi che sono cruciali per il cristiano. E sappiamo che può bastare veramente poco per inquinare la nostra condotta nella fede.

Consideriamo questo verso chiave: "Perché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna", Gv 3:16. Possiamo già rispondere a entrambe le domande che ci siamo posti, perché apprendiamo che la vita eterna è promessa solo a chi crede in Gesù; ma, a questo punto, chiediamoci: può, l'animale, credere in Gesù? Andiamo per step.

a. L'animale non può avere fede. Sia l'uomo che l'animale hanno il soffio vitale (Ec 3:19), ma solo l'uomo è stato fatto a immagine e somiglianza di Dio, cioè è trinitario, provvisto di corpo, anima e Spirito. In virtù di questa "superiorità", l'uomo ha anche ottenuto da Dio il dominio sugli animali (Gn 1:26). Non solo, dunque, l'animale non ha lo spirito, che è ciò che consente all'uomo di rivolgersi a Dio (Mt 6:33), di concepire l'eternità (Ec 3:11), di esercitare doni carismatici (1Co 14:12), ecc., ma il destino dell'animale è deciso dall'uomo.

b. L'animale non necessita di redenzione, dunque del sangue di Gesù. Non è in condizione di peccare, poiché mosso da istinto, e non dalla coscienza del bene e del male e dal conseguente libero arbitrio. Quando Pietro descrive i credenti che si oppongono alle autorità, li paragona a "bestie prive di ragione, destinate per natura a essere catturate e distrutte" (2Pi 2:12). L'animale è destinato, per natura, alla cattura e sopraffazione: pesci, volatili, mammiferi e insetti sono parte dell'ecosistema, e sono fatti per essere prede, sia degli animali stessi, che dell'essere umano (su questo punto ritorneremo). L'animale che uccide, per fame o per territorialità, non ha colpe da espiare; allo stesso modo, nessun animale può essere giudicato meritevole per opere. Il fatto che alcuni animali possano dare adito a comportamenti affettuosi (che vanno ben compresi e contestualizzati, come vedremo), non cambia tali realtà: il Signore non è intenzionato a fermare il funzionamento dell'ecosistema. Infatti, Egli ci ha imposto di non uccidere alcun uomo (Es 20:13), ma ci ha chiarito quali animali possiamo uccidere per mangiare e quali no (Dt 14).

Attenzione: Dio ha concesso all'uomo di uccidere animali per vestirsi (Gn 3:21), per nutrirsi (Gn 6:21) e per fare sacrifici (Gn 4:4), ma questo non implica che Egli tolleri i nostri comportamenti violenti verso di essi. In Deuteronomio 22:1-7 si raccomanda di avere cura e misericordia degli animali smarriti e dei piccoli caduti dal nido, se si vuole prosperare e vedere giorni felici; inoltre, Dio odia chiunque ami la violenza (Sl 11:5) e ci ricorda che "il giusto ha cura della vita del suo bestiame" (Pr 12:10).

c. La descrizione della Nuova Gerusalemme, cioè del Paradiso, non contempla la presenza degli animali (Ap 21-22). Attenzione: non dobbiamo confondere l'eternità con Dio con il periodo circoscritto del millennio. Durante il regno millenario di Cristo sulla Terra, infatti, ci saranno animali; leggiamo in Isaia (11:6; 65:25) che sarà un regno di pace e giustizia tale, che le bestie pacifiche convivranno con quelle feroci, cioè non ci sarà posto per la minima violenza, neanche per quella generata naturalmente dall'ecosistema. La presenza degli animali si spiega col fatto che questo tipo di regno sarà instaurato sulla Terra, il cui ambiente prevalente è quello naturale (flora e fauna). Ma il Paradiso è il premio ultraterreno per "quelli che sono scritti nel libro della vita dell'Agnello" (Ap 21:27) e per "quelli che lavano le loro vesti" (Ap 22:14): lì non ci sarà più spazio per alcunché di terreno. Il Sole stesso sarà sostituito dalla presenza di Dio, per cui non sarà più possibile il funzionamento di un ecosistema come quello terreno, e i nostri stessi corpi saranno corpi non naturali, ma glorificati.

Osserviamo, inoltre, questo verso: "Fuori i cani, i fattucchieri, gli immorali, gli omicidi, gli idolàtri e chiunque ama e pratica la menzogna" (Ap 22:15). In questo caso, è chiaro che i "cani" sono da intendersi, spiritualmente, come anime con caratteristiche tali da precludersi la salvezza. Ma ragioniamo: se i cani fossero meritevoli del Paradiso, avrebbe ancora senso questo verso?

È curioso come il cane abbia sempre un'accezione negativa nelle Scritture, contrariamente a quanto potremmo aspettarci (suggeriamo di approfondire l'argomento nella Questione biblica dedicata, in questa pagina). A prescindere da quale possa essere il motivo, però, sembra proprio che la presenza del cane nel Paradiso di Dio sia da escludere a priori.

A questo punto, come spiegarci i comportamenti quasi "umani" di certi animali? Come interpretare il loro affetto e la loro empatia nei nostri confronti? E, soprattutto, come rassegnarci alla loro dipartita?

Dio ha creato gli animali per la Sua gloria (Gn 1:20-22) e ha voluto salvarli dalla distruzione del diluvio universale affinché ripopolassero la terra (Gn 6). Alcuni animali hanno caratteristiche lodevoli e addirittura esemplari per l'uomo, come la saggezza e la laboriosità della formica (Pr 6:6); altri, invece, possono essere utilizzati per la compagnia e si inseriscono in famiglia come veri e propri componenti del nucleo, come l'agnella della storia che Nathan racconta a Davide ("era cresciuta insieme a lui e ai suoi figli, mangiando il suo cibo, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno; era per lui come una figlia", 2 Sa 12:3).

Gli animali hanno un'anima: ciò vuol dire che provano emozioni e sentimenti. Sarebbe sbagliato, però, interpretare l'attaccamento di un cane al proprio padrone come un atto di amore incondizionato, che è un amore che solo un cuore rinato in Cristo può provare. Il cane ha un comportamento che ricorda molto da vicino quello del bambino o del lattante: traduce la dipendenza dall'adulto in atti di affetto, festeggiamenti e varie forme di attaccamento. Possiamo facilmente notare che tali manifestazioni si diradano in proporzione al grado dell'autonomia dell'animale dall'uomo.

Spetta a noi cristiani avere un modus operandi equilibrato in ogni tipo di relazione, alla luce della Scrittura. Gli animali sono un dono speciale per noi esseri umani, ma il dono non deve essere amato più del Donatore.

Dio ci benedica!


9. Chi sono i "figli di Dio" di Genesi 6:2;4 e Giobbe 1:6;2:1? Possiamo ipotizzare che siano extraterrestri?

Rispondiamo alla domanda di un nostro follower sulla natura dei "figli di Dio", che compaiono in Genesi 6:2;4 e Giobbe 1:6;2:1.

Vogliamo fare una premessa. Esistono tante speculazioni su questo tema, alcune delle quali propongono soluzioni piuttosto originali. I dati che ricaviamo dalla Parola, però, ci consentono unicamente di fare ipotesi sensate o di scartare quelle inverosimili.

Leggiamo il primo passo:

Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla faccia della terra e furono loro nate delle figlie, avvenne che i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e presero per mogli quelle che si scelsero fra tutte. Il SIGNORE disse: «Lo Spirito mio non contenderà per sempre con l'uomo poiché, nel suo traviamento, egli non è che carne; i suoi giorni dureranno quindi centoventi anni». In quel tempo c'erano sulla terra i giganti, e ci furono anche in seguito, quando i figli di Dio si unirono alle figlie degli uomini, ed ebbero da loro dei figli. Questi sono gli uomini potenti che, fin dai tempi antichi, sono stati famosi. Il SIGNORE vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che il loro cuore concepiva soltanto disegni malvagi in ogni tempo. Il SIGNORE si pentì d'aver fatto l'uomo sulla terra, e se ne addolorò in cuor suo. E il SIGNORE disse: «Io sterminerò dalla faccia della terra l'uomo che ho creato: dall'uomo al bestiame, ai rettili, agli uccelli dei cieli; perché mi pento di averli fatti». Ma Noè trovò grazia agli occhi del SIGNORE. Questa è la posterità di Noè. Noè fu uomo giusto, integro, ai suoi tempi; Noè camminò con Dio. Noè generò tre figli: Sem, Cam e Iafet (Genesi 6:1-10).

In sostanza, viene rimarcata una distinzione tra i "figli di Dio" e le "figlie degli uomini" che fa pensare. Ma andiamo con ordine. Dai versi in questione emerge che:

  • I figli di Dio si innamorarono delle figlie degli uomini e si unirono a loro
  • Da questa unione nacquero i giganti
  • I giganti erano i potenti della terra, eroi dei tempi antichi
  • Dio fissò l'età dell'uomo a 120 anni, perché la malvagità umana era grande
  • Dio deliberò di sterminare gli uomini dalla terra ma scampò il giusto Noè con la sua famiglia

Quali sono le ipotesi che possiamo iniziare a scartare?

a. I figli di Dio sono angeli. Questa possibilità è da scartare perché:

  • Gesù, rispondendo ai sadducei, che credevano che alla resurrezione ci si potesse risposare, specificò che gli angeli hanno fattezze spirituali e non si sposano (Mc 12:24): "Ma Gesù, rispondendo, disse loro: «Non è proprio per questo che siete in errore, perché non conoscete né le Scritture né la potenza di Dio? Infatti, quando gli uomini risusciteranno dai morti, né si ammoglieranno né si mariteranno, ma saranno come gli angeli in cielo".

Dunque, Gesù ha escluso che gli angeli possano sposarsi.

  • Qualcuno potrebbe obiettare che gli angeli siano stati creati con un corpo compatibile con l'accoppiamento con donne, per quanto avessero avuto il divieto di unirsi carnalmente ad esse.

Innanzitutto, ci sembra paradossale che Dio possa aver fatto una cosa del genere, cioè creare gli angeli con un potenziale non solo inutile, quanto proibito e pericoloso. Se Dio non voleva che gli angeli si accoppiassero con le donne, perché li avrebbe dotati di un apparato riproduttore? Non esiste alcun essere della creazione che sia stato dotato di parti inutili e fini a sé stesse, poiché la creazione di Dio è perfetta e gloriosa, e rispecchia i Suoi attributi (Salmo 19).

Secondariamente, il confronto che Gesù instaura tra il corpo glorificato dei risorti in Cristo e quello degli angeli ci fa dedurre che il corpo degli angeli è anch'esso un corpo spirituale e non corruttibile. In particolare, del corpo dei risorti è scritto che "Il Signor Gesù Cristo… trasformerà il nostro umile corpo, affinché sia reso conforme al Suo corpo glorioso" (Fl 3:21); "E come abbiamo portato l'immagine del terrestre, porteremo anche l'immagine del celeste. Or questo dico, fratelli, che la carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio; similmente la corruzione non eredita l'incorruttibilità (1Co 15:49-50). Se, dunque, gli angeli, al pari dei risorti in Cristo, hanno un corpo dalle caratteristiche incorruttibili, vuol dire che il loro corpo non ha caratteristiche umane; l'apostolo Paolo, infatti, sottolinea che il corpo glorificato non è di carne e sangue, e rimarca la differenza netta tra ciò che è terrestre e ciò che è celeste, ciò che è corruttibile e ciò che è incorruttibile.

Quali sono, invece, le ipotesi a cui non possiamo dare una risposta?

b. I figli di Dio sono extraterrestri. Per quanto fantasiosa, quest'ipotesi non si può confutare, se ci riferiamo ai solo dati ricavabili dalle Scritture. Infatti, esse non ci dicono assolutamente nulla riguardo a:

  • La vita su altri pianeti
  • L'esistenza di altri pianeti con caratteristiche compatibili con la vita umana
  • Eventuali esseri viventi non umani, ma con caratteristiche compatibili con gli umani
  • Eventuali contatti fra esseri non terrestri ed umani

Tuttavia, questa ipotesi rimane debole, perché i pochissimi passi biblici riferiti ai figli di Dio non forniscono elementi sufficienti per desumere che essi abbiano caratteristiche "aliene". O meglio: essi hanno caratteristiche fuori dal comune (vedremo perché), ma non per questo collegabili a una provenienza extraterrestre.

Una cosa è certa: se esiste una qualche forma di vita su altri pianeti, Dio ha preferito non farcelo sapere!

A questo punto, qual è l'ipotesi che ci sembra più verosimile e supportata?

c. I figli di Dio sono i discendenti di Adamo che passano per la linea di Seth (che, tra l'altro, coincide con la genealogia di Gesù- 1Cr 2; Mt 1; Lc 3), e cioè uomini che hanno scelto di seguire Dio e di vivere per fede, in contrapposizione ai figli degli uomini, discendenti di Caino, che hanno amato il peccato e si sono allontanati da Dio. "Anche a Seth nacque un figlio, e lo chiamò Enosh. Allora si cominciò a invocare il nome dell'Eterno".

Analizziamo le prove.

  • I "figli di Dio" non spuntano come funghi, ma all'interno di un contesto in cui sono assolutamente identificabili. In Genesi 5, infatti, viene elencata la discendenza di Adamo attraverso Seth, il figlio donatogli da Dio dopo che Abele era stato ucciso da Caino; subito dopo, il capitolo 6 esordisce con i "figli di Dio", come se il termine fosse sinonimo dei personaggi nominati poco prima: la discendenza di Seth, per l'appunto.

La stessa cosa avviene anche nel libro di Giobbe: subito dopo aver parlato della famiglia di Giobbe, la Parola ci dice che i "figli di Dio" si presentarono davanti all'Eterno per due volte, e in entrambe le occasioni Satana si presentò anch'egli per insinuare malignità su Giobbe e ottenere da Dio potere distruttivo sulla sua vita (Gb 1:6; 2:1).

  • È interessante notare che Seth viene definito "a immagine e somiglianza di Adamo", il quale, a sua volta, è stato creato "a immagine e somiglianza di Dio" (Gn 5:1-2). Di Caino non si afferma mai una cosa del genere, né tantomeno della sua discendenza. Non solo: in Luca 3:23, Adamo è chiamato "figlio di Dio". Se Seth era a immagine e somiglianza di Adamo, quindi, era anche lui un figlio di Dio: Adamo e Seth sono figli di Dio, e così i loro discendenti.
  • Dopo la caduta dell'uomo, Dio lanciò la seguente maledizione al serpente. "E io porrò inimicizia fra te e la donna e fra il tuo seme e il seme di lei; esso ti schiaccerà il capo, e tu ferirai il suo calcagno" (Gn 3:15): si profila, cioè, la differenziazione di due stirpi, quella del serpente e quella della donna, nemiche tra loro.

Subito dopo, infatti, vediamo esplodere la rivalità tra Caino, uomo privo di fede e sgradito a Dio, e "il giusto Abele" (Mt 23:35), invidiato e ucciso da Caino perché approvato da Dio.

Morto Abele, ne prenderà il posto Seth, i cui discendenti, i patriarchi, cammineranno per fede (Eb 11), mentre i Cainiti porteranno la violenza su tutta la terra (Gn 4).

Precisiamo che la stirpe della donna non rappresenta solo l'Israele nella carne, ma anche quella nello Spirito, cioè la Chiesa, in quanto, spiritualmente, i credenti appartengono alla stirpe di Abramo (Rm 4:9-25): infatti, anche noi credenti siamo "figli di Dio" (Ga 3: 25-26). C'è dunque inimicizia tra il mondo (stirpe del serpente) e la Chiesa (stirpe della donna).

  • Ci sono differenze notevoli tra queste due stirpi, sia dal punto di vista fisico e biologico, che caratteriale e spirituale. In particolare:

a. Caratteristiche fisiche e biologiche. I figli di Dio, nella procreazione, generano dei giganti, mentre i Cainiti no; questi giganti sono eroi, uomini potenti rispetto ai comuni mortali (Gn 6:1-2). Anche l'aspetto dei figli di Dio doveva essere glorioso, se Nabucodonosor avrebbe osservato che il quarto uomo avvistato insieme ai tre amici di Daniele nella fornace ardente aveva "l'aspetto simile a un figlio di Dio" (Da 3:92).

Un altro segno distintivo dei figli di Dio è l'aspettativa di vita: essi sono ultracentenari, alcuni quasi millenari (Gn 5). Noè vive più di 900 anni, Metuselah 1000, e lo stesso Giobbe più di 140 (a riprova della nostra ipotesi su Giobbe), e tutto questo anche dopo che Dio ha fissato il termine ultimo della vita umana a 120 anni (Gn 6:2). Insomma, la vicinanza di questi uomini a Dio li rende diversi dai comuni mortali.

b. Caratteristiche caratteriali e spirituali. I figli di Dio camminano e interagiscono con Lui, mentre tutti gli altri sono lontani da Lui; i figli di Dio si muovono per fede, in modo innaturale e soprannaturale, mentre tutti gli altri sono prigionieri del peccato; mentre Lamek, discendente di Caino, invoca la vendetta dei reati di sangue per "settanta volte sette" (Gn 4:15), Gesù esorterà i Suoi seguaci a perdonare "settanta volte sette" (Mt 18:21), proprio come a condannare il disvalore della vendetta.

Concludendo, ci sembra di poter affermare che questa soluzione sia la più fedele alle Scritture, ma siamo consapevoli che qualcuno possa ancora nutrire dei dubbi. Se vuoi, dicci la tua!


8. Perché Gesù disse che bisogna perdonare "settanta volte sette"? (Mt 18:21)

Prima di analizzare la risposta di Gesù, cerchiamo di capire la domanda di Pietro:

"Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: «Signore, quante volte dovrò perdonare il mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?» (Mt 18:20).

Sappiamo che il numero sette e i suoi multipli, presso la cultura ebraica, indicano totalità e completezza: sette sono i giorni della settimana, le Chiese dell'Apocalisse; l'oro puro deve essere raffinato sette volte (Sl 12:7); al settimo anno lo schiavo ebreo deve essere liberato (Es 21:2); settanta sono gli anziani costituiti da Mosè, i discepoli mandati in missione da Gesù, le settimane che Daniele calcola come precedenti l'avvento del Messia.

Non solo: quando Caino, dopo aver ucciso Abele, espresse a Dio la sua paura di poter essere a sua volta ucciso per vendetta, l'Eterno gli rispose: «Chiunque ucciderà Caino, egli sarà punito sette volte» (Gn 4:15).

Questo capitolo di Genesi ci offre spunti interessanti. Subito dopo l'episodio di Caino, infatti, vediamo che un suo malvagio discendente, Lamek, uccise ben due uomini. A quel punto, impaurito per la vendetta altrui, espresse davanti alle sue due mogli la seguente maledizione: «Sì, io ho ucciso un uomo perché mi ha ferito, e un giovane per avermi causato una lividura. Se Caino sarà vendicato sette volte, Lamek lo sarà settanta volte sette» (Gn 4:23-24).

Non è difficile intuire che Lamek stia utilizzando una perifrasi che indica un numero infinito di volte. E Gesù, che conosceva perfettamente queste Scritture, contrappose a questa "legge dell'odio" la "legge dell'amore": il perdono deve essere dato di continuo, per un numero di volte che non si può calcolare.


7. Perché il Dio dell'Antico Testamento sembra essere così diverso dal Dio nel Nuovo Testamento?

Prima di rispondere a questa domanda, lasciatemi specificare una cosa: un equivoco del genere può scaturire solo da una lettura selettiva e mirata della Bibbia. Chi afferma che il Dio dell'Antico Testamento sia un Dio iracondo e diverso dal Dio misericordioso del Nuovo, forse non ha notato che Gesù ha parlato più dell'inferno e della perdizione che della grazia!

Iniziamo a chiarire che la natura di Dio è sempre la stessa («Io sono l'Eterno, non muto», Ml 3:6; "Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e in eterno", Eb 13:8).

Ora riflettiamo su questa natura. Proprio nell'AT, Dio si definisce "lento all'ira e grande in misericordia; egli perdona l'iniquità e il peccato, ma non lascia impunito il colpevole, punendo l'iniquità dei padri sui figli, fino alla terza e alla quarta generazione", Nu 14:18).

La Parola di Dio rivela questa duplice realtà in ogni singolo libro: da un lato la Sua incommensurabile misericordia, dall'altro la punizione del peccato senza mezzi termini. Allora perché l'AT appare più "drastico" del Nuovo?

Molto semplice: i libri della Bibbia sono disposti in ordine prevalentemente cronologico, dalla creazione del mondo alla fine di esso. Il piano di Dio per l'umanità si è dispiegato in diverse fasi: in un primo tempo, era necessario che l'uomo conoscesse la giustizia di Dio, attraverso la legge, e che realizzasse l'impossibilità di adempiere a quella legge e di salvarsi da sé; maturati i tempi, Dio ha aperto le porte della grazia, mandandoci il Salvatore ("le leggi che Dio dette a Mosè ci hanno fatto da maestro e guida, finché non è venuto Cristo che ci ha riconciliati con Dio per mezzo della nostra fede", Ga 3:24).

Ecco perché nei primi libri della Bibbia troviamo prevalentemente un Dio impegnato a ribadire al Suo popolo "neonato" quali sono le Sue regole e cosa succede a chi trasgredisce, e, ovviamente, le prime storie di trasgressione con le relative conseguenze; nella seconda parte della Bibbia, invece, si chiarisce in che modo il piano della grazia, anticipato nei Profeti, si realizzi in Gesù. Notiamo, però, che Cristo conferma la validità della Legge (Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento, Mt 5:17), e sottolinea che il popolo di Dio non ne aveva afferrato il senso profondo, che era appunto la misericordia. Ecco perché il Suo insegnamento verte tantissimo sul concetto di amore e di perdono. Non che la Legge fosse priva di tali concetti; semplicemente, il popolo di Dio non li aveva realizzati interiormente.

Per quanto riguarda le famose "guerre", vogliamo ricordare che anche oggi, come allora, molte persone muoiono a causa del loro peccato: ciò che è cambiato è solo il modo in cui noi leggiamo la Bibbia, tendendo a dare maggior risalto alla grazia e parlando troppo poco spesso della perdizione che aspetta chi non accetta quella grazia, e che viene ribadita in ogni libro del Nuovo Testamento, fino al colorito scenario dell'Apocalisse.

Parimenti, anche l'Antico Testamento abbonda di storie di fede, come ci ricorda il capitolo 11 dell'Epistola agli Ebrei. Sfatiamo, dunque, il mito che nell'Antico Testamento ci si salvasse per opere e dal Nuovo in poi per fede: nessuno si è mai salvato per opere! Anche se la grazia è stata manifestata solo con Gesù, è sempre stata la fede a fare la differenza!

Concludendo, riteniamo che sia urgente un ritorno a una lettura onesta e completa delle Scritture, per avere un concetto giusto della reale natura di Dio e, soprattutto, non cadere nell'errore di pensare che Egli, l'Eterno, possa "aver cambiato" il proprio modo di essere.


6. In Genesi 21:9-10 è scritto che Sara impose ad Abramo di cacciare di casa Agar e il figlio Ismaele perché "il bambino rideva". In che senso?

Questo gesto "estremo" di Sara potrebbe sembrare incongruente, soprattutto perché era stata lei stessa a volere fortemente la nascita di questo bambino. Quale fastidio poté provocarle il riso di Ismaele?

Va detto che Isacco ha un nome che richiama il riso, perché Sara dichiarò che "Dio le aveva dato di che ridere", ed era un riso di gioia. Ridere, però, può essere sintomo dei più svariati sentimenti.

Per esempio, quando Sara udì che ad Abramo veniva profetizzata la nascita di un figlio, si mise a ridere divertita. Quel riso veniva fuori dall'incredulità, e infatti Dio la richiamò.

Nel momento in cui Sara, al banchetto per Isacco, vide che Ismaele rideva, percepì che si trattava di un riso di scherno. Sebbene qualche commentario più datato traduca che Ismaele "scherzava con Isacco", le versioni più recenti concordano nel tradurre che egli "rideva di lui". Possiamo immaginarne il motivo, visto che era una festa per lo svezzamento del bambino...una scena che può risultare abbastanza comica.

Sara intuì che, anche in futuro, quel fratellastro avrebbe potuto sminuire l'autorità di Isacco, più giovane e, quindi, più vulnerabile. Già sua madre Agar, rimasta incinta, aveva disprezzato la padrona, sentendosi improvvisamente superiore a lei. Ecco perché Sara decise di separare i destini dei due fratelli.

Nonostante ciò, Dio rimase fedele alla sua promessa verso la progenie di Abramo, perché anche di Ismaele fece una grande nazione.


5. Cosa significa che i patriarchi, quando morivano, "venivano riuniti al loro popolo"? Come mai alcuni di essi facevano pronunciare un giuramento?

Diamo uno sguardo a questo passo:

Poi Giuseppe disse ai fratelli: «Io sto per morire, ma Dio verrà certo a visitarvi e vi farà uscire da questo paese verso il paese ch'egli ha promesso con giuramento ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe». Giuseppe fece giurare ai figli di Israele così: «Dio verrà certo a visitarvi e allora voi porterete via di qui le mie ossa».
Poi Giuseppe morì all'età di centodieci anni; lo imbalsamarono e fu posto in un sarcofago in Egitto (Esodo 50:25-26).

Giuseppe, prevedendo che Dio sarebbe intervenuto per portare il Suo popolo fuori dall'Egitto, fece giurare ai suoi fratelli che si sarebbero impegnati a recuperare le sue ossa per portarle nella terra promessa. Infatti, in Ebrei 11:22, leggiamo che "per fede Giuseppe, alla fine della vita, parlò dell'esodo dei figli d'Israele e diede disposizioni circa le proprie ossa".

La fede di Giuseppe era così forte che egli aveva realizzato che la promessa di una terra per il Suo popolo era certa. E lui voleva entrare spiritualmente in quella promessa, entrando materialmente in quella terra. Tuttavia c'erano due problemi: Giuseppe sarebbe morto in Egitto e, in più, la terra promessa non era stata ancora conquistata dal suo popolo. A quel punto, egli organizzò il futuro trasporto delle proprie spoglie nella terra in cui erano sepolti i suoi padri, sapendo che, presto o tardi, essa sarebbe stata conquistata (il giuramento serviva a tranquillizzare il richiedente che il patto sarebbe stato portato a compimento). Ciò non deve stupirci, perché in Ebrei è scritto che i patriarchi "morirono nella fede, pur non avendo conseguito i beni promessi, ma avendoli solo veduti e salutati di lontano" (v. 13).

In questo sta il senso dell'essere "riunito ai suoi padri" (un'espressione usata anche per i discendenti, come Davide): tutti i padri che avevano dimorato per fede nella terra promessa, come Abramo, Isacco e Giacobbe, furono sepolti o portati lì successivamente, riunendosi ad essi, come nel caso di Giuseppe, a testimonianza del fatto che vi erano entrati per fede.


4. A chi si riferisce Gesù quando parla dell' "Elia che doveva venire"?
 
In Matteo 11: 12-14 e 17:10-13, Gesù parla di Giovanni Battista ai suoi discepoli come "l'Elia che doveva venire", ma i discepoli fanno capire che si aspettano proprio il ritorno di Elia in persona citando gli scribi. Come stanno le cose?

Nell'Antico Testamento è scritto in Malachia 4:5 che Elia dovrà venire "prima del grande e spaventevole giorno dell'Eterno", ma Gesù, pur confermando la cosa, indica in Giovanni Battista l'Elia che doveva venire (Mt 17:12-13). Perché questo? Perché il Battista, come profetizzato dall'angelo che ne annunciò la nascita al padre Zaccaria, avrebbe avuto lo stesso spirito profetico di Elia ("Ed andrà davanti a lui [il Messia] nello spirito e potenza di Elia" Lu 1:17).

È anche vero che Elia tornerà in carne ed ossa nel tempo della fine, ma i discepoli e gli scribi conoscevano solo i Profeti e non l'Apocalisse, che sarebbe stata scritta da Giovanni dopo la morte di Gesù: in questo libro è scritto che Dio manderà due testimoni a denunciare profeticamente l'attività dell'anticristo (Ap 11:3). L'ipotesi più plausibile è che si tratti, appunto, di Elia ed Enoch (poiché Enoch, come Elia, non ha conosciuto la morte: entrambi furono rapiti in cielo (Gn 5:21-23; 2 Re 2:11).


3. Perché, in Apocalisse 22:15, è scritto che "i cani" non entreranno nel Regno dei Cieli?

È curioso notare che, nella Bibbia, il cane rappresenti una tipologia di persona assolutamente negativa agli occhi di Dio, tanto da non avere possibilità di accesso alla vita eterna (Fuori i cani, gli stregoni, i fornicatori, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna, Ap 22:15). Nella realtà di tutti i giorni, però, il cane è generalmente visto come l'animale più fedele e leale che ci sia!

I riferimenti al cane compaiono sia nell'Antico, che nel Nuovo Testamento. In Isaia 56:10-11, dei capi d'Israele si dice che sono tutti ciechi, senza intelligenza; sono tutti cani muti, incapaci di abbaiare; sognano, stanno sdraiati, amano sonnecchiare. Sono cani ingordi, che non sanno cosa sia l'essere sazi; sono pastori che non capiscono nulla; sono tutti vòlti alla propria via, ognuno mira al proprio interesse, dal primo all'ultimo.

In Matteo 7:6, Gesù si raccomandò ai Suoi discepoli: "Non date ciò che è santo ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le pestino con le zampe e rivolti contro di voi non vi sbranino".

Il cane è sicuramente un animale tenero e affettuoso, ma ha una caratteristica su tutte che lo distingue: è attaccato all'uomo,e questo non perché sia in grado di provare amore disinteressato (l'agàpe è un sentimento che solo un vero cristiano può realizzare), ma perché sa che, senza di lui, difficilmente sopravviverebbe. Alcuni cani sviluppano una vera e propria dipendenza dal proprio padrone, al punto da lasciarsi quasi morire se questi viene meno. Il cane lasciato solo, però, spesso diventa feroce e ingestibile, e in qualche caso arriva a rivolgersi contro l'essere umano (in 2 Re: 9, si narra che la regina idolatra Iezebel fu destinata da Dio a essere sbranata dai cani).

Per riassumere, il cane rappresenta colui che confida nell'uomo, ma che, se privo di riferimenti, può divorare persino l'uomo. "Maledetto l'uomo che confida nell'uomo, che pone nella carne il suo sostegno, e dal Signore si allontana il suo cuore.... Benedetto l'uomo che confida nel Signore, e il Signore è sua fiducia" (Gr 17:5-7).


2. Cosa significa che chi "non odia" la propria famiglia non può essere discepolo di Cristo? (Lu 14:26)

Dio non ci ha chiesto di odiare nessuno, men che meno la nostra famiglia, altrimenti verrebbero meno diversi comandamenti! Tutta la Bibbia è piena di esortazioni all'amore verso il prossimo, la cui sintesi meravigliosa troviamo nell' Inno all'amore di Paolo (1 Co 13).

Purtroppo c'è una difficoltà terminologica, perché la traduzione in greco del Vangelo di Luca non riesce a rendere perfettamente il parlato aramaico di Gesù. Precisamente, l'espressione "amare di meno" non esiste in greco: esistono, invece, almeno tre termini differenti per rendere il concetto di amore!

Gesù voleva dire che, nella scala di priorità del credente, al primo posto deve esserci Dio: diversamente, peccheremmo di idolatria, che è la venerazione della creatura anziché del Creatore. Infatti è anche scritto: "Cercate prima il Regno di Dio, e tutto il resto vi sarà sopraggiunto" (Mt 6:33).


1. Che cosa rappresenta l'Etiopia nella Bibbia?

L'Etiopia, come l'Egitto (a cui, spesso, è associata nei Profeti) rappresenta il mondo con le sue negatività ed il suo peccato, che però ispira potenza e gloria agli empi (Naum 3:9). Il motivo è che l'Etiopia è il Paese dove si estese Kush, figlio di Cam, a sua volta maledetto da Noè per essere stato da lui schernito mentre si trovava in stato di ubriachezza nella sua tenda (Gn 9:20:25). In Esodo 20:4, Dio infatti promette di punire "l'iniquità dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano": così si spiegano le maledizioni generazionali. Uno dei figli di Kush fu Nimrod, che iniziò un regno idolatrico basato sulla propria potenza (Gn 10:8), e costruì varie città di peccato come Babilonia, Ninive, Sodoma e Gomorra, abitate da uomini crudeli e schernitori. Tutto ciò non implica una condanna "a priori" per chi è sotto maledizione: Cristo, infatti, può spezzare le catene di chiunque Lo invoca, anche dell'Etiopia ("dall'Egitto porteranno metallo splendente, l'Etiopia si affretterà a tendere le sue mani a DIO" (Sl 68:31).


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