Questioni bibliche
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La gloria accessibile a pochi

05.04.2023

1. Una vita sprecata tra l'altare e la conca

Quando si parla di adorazione, si tende a pensare a quell'impeto emozionale che ci permette di toccare la veste di Gesù attraverso canti, preghiere ed espressioni estatiche di lode: in quel momento, avverrebbe l'ingresso nel "luogo santissimo", cioè nella zona di maggior gloria e intimità con il Padre.

Ma la triste realtà è che molti, troppi credenti, sono fermi nei "cortili" da una vita e sono destinati a non entrare mai neanche nel "luogo santo" (la zona intermedia tra i cortili e il luogo santissimo del Tabernacolo/Tempio). L'emozione di un tocco spirituale o l'effetto di una liberazione, per quanto "spettacolari", non sono esattamente la stessa cosa di una vita che adora di continuo il Padre attraverso il Suo amato Figlio. In altre parole, non è possibile entrare nel luogo santissimo se non per mezzo di una vita consacrata, separata dalle abitudini e dalle pratiche spirituali della moltitudine.

La gloria di Dio invadeva il Tabernacolo/ Tempio. Ma questo, cosa significava? In che misura il popolo era partecipe di questa gloria? Era una gloria accessibile a tutti?

La struttura del Tabernacolo/Tempio non è casuale; essa rappresenta un percorso di crescita, grazie al quale è possibile spostarsi dai cortili esterni (figura del mondo materiale, visibile a tutti) verso l'interno (figura dell'esperienza spirituale, invisibile dall'esterno). Il Tabernacolo vero e proprio era coperto da spesse pelli d'animale, così che chi si trovava nei cortili non poteva immaginare cosa ci fosse all'interno; solo i sacerdoti avevano il privilegio di entrare nella prima parte della tenda, il luogo santo, e solo il sommo sacerdote poteva accedere all'ultima parte, il luogo santissimo, una volta all'anno. Solo i sacerdoti, dunque, godevano della bellezza dell'interno del Tabernacolo, finemente rivestito d'oro e di materiali pregiati, arredato con oggetti preziosissimi e ricchi di valore simbolico (il candelabro, l'altare dei profumi), e potevano mangiare dalla mensa i pani di presentazione; e solo il sommo sacerdote entrava alla presenza della gloriosa Arca del Patto per aspergerla di sangue sacrificale, coperto dalla nuvola dell'incenso.

La manifestazione della gloria di Dio era, dunque, riservata a pochissime persone, che dovevano prepararsi e separarsi da tutti per adempiere alle varie funzioni; la folla rimaneva nei cortili, tra la conca e l'altare di rame, e altri vasi di rame, materiali molto meno nobili rispetto all'oro del Tabernacolo. Ora starai pensando che questa esclusione della folla dalle cose di Dio può essere spiegata con la "durezza" dell'Antico Patto; in realtà, essa prefigura una situazione spirituale quanto mai attuale. Ancora oggi, infatti, nonostante il sacrificio perfetto di Cristo abbia abbattuto quella barriera che ci separava da Dio e ci abbia dato libero accesso alla comunione con Lui (Eb 10:19-20), molti preferiscono rimanere fuori, nei cortili, senza mai inoltrarsi in un'esperienza più profonda, per quanto ignota e che, quindi, come tale, può spaventare.

Essi, infatti, realizzano con gioia la necessità del sacrificio di Cristo per la propria salvezza (l'altare) e della purificazione dal peccato, seguita dal battesimo (la conca), ma poi non progrediscono, e preferiscono rimanere in questa condizione insieme ad altri, credenti e non (vasi), della loro stessa natura, una natura molto meno nobile rispetto a quella di altri credenti. Le loro testimonianze di gloria sono ferme ai primi anni della conversione; allo stesso modo, invariati sono i loro problemi, chiamati impropriamente "prove", necessaria conseguenza di una forte pigrizia spirituale e di un'indole tendente al compromesso.

Stare nei cortili, infatti, può essere rassicurante, in quanto tutto è alla luce del Sole, e cioè di quel Dio che "fa piovere sui giusti e sugli ingiusti" (Mt 5:45), ma è altresì vero che, se si ama il luogo della folla, se si ama la compagnia e il modo di fare dei più, consacrati o profani che siano, non si può ambire alla gloria che Lui intende riservare a coloro che lo amano di un amore particolare e che, per Lui, sono disposti a rinunciare a tutto. Chi cerca sempre e solo benedizioni, mosso da un'attitudine centrata sui propri bisogni materiali e poco dedita alla consacrazione e al servizio, difficilmente proverà a lasciare la "zona confort" per cercare di meglio.

Chi, invece, decide di varcare la soglia del Tabernacolo per entrare nel luogo santo, deve passare per la "porta stretta" (Mt 7:13-14), e cioè, nello specifico, attraverso i cinque pilastri che conducono all'interno, figura dei cinque libri della Torah, "pilastri" della Parola, e dei cinque ministeri neotestamentari. È interessante notare, dunque, che il livello si innalza, nel senso della necessità di passare attraverso la Parola e il servizio. Una volta entrati all'interno, poi, ci si rende subito conto che non c'è luce naturale, ma solo quella del candelabro a sette bracci (figura del Cristo): occorre tenere sempre viva la fiamma dell'unzione ai piedi del Maestro (Mt 25:1-13), per potersi cibare alla Sua mensa (pani di presentazione) e offrire a Lui una vera adorazione, in Spirito e verità (altare dei profumi).

Ma c'è ancora un livello maggiore di gloria, ed è quella del luogo santissimo. Qui nessuno può entrare in condizioni di indegnità, perché la presenza di Dio è tangibile (Es 3:5). È il luogo dell'Arca del Patto, che responsabilizza chiunque venga a contatto con essa: benedice chi la accoglie in santità (2Sa 6:10-11), ma maledice chi le si accosta in modo peccaminoso: ricordiamo la fine di Uzziah (2Sa 6:7), la sterilità di Mikal (2Sa 6:23), la punizione di Davide (2Sa 12:10-14), ma anche, nel Nuovo Testamento, la morte di Anania e Saffira, bestemmiatori contro lo Spirito Santo (At 5:1-11).

La gloria di Dio, quindi, non viene dispensata a tutti indistintamente. A questo punto, si potrebbe obiettare che quella era la situazione vigente nell'Antico Patto; vediamo, allora, cosa succede col Nuovo Patto.

2. Aspiranti imperfetti alla gloria perfetta

Con la venuta di Gesù, possiamo facilmente riscontrare che nulla è cambiato. A contatto con la Sua opera straordinaria, infatti, si crearono immediatamente delle differenziazioni tra la folla (cortili), i discepoli (luogo santo) e i soli tre discepoli scelti da Gesù per fare delle esperienze soprannaturali più particolari (luogo santissimo).

La folla cercava Gesù per la sua iniziale popolarità; quando, però, le cose si misero male, essa si disperse. Non si ricordò più del cibo che aveva mangiato in modo miracoloso e dei miracoli ricevuti gratuitamente, per non parlare dei preziosi insegnamenti sul Regno. Attenzione: anche i discepoli si dileguarono, ma poi essi furono intercettati dal Cristo risorto affinché il lavoro iniziato in essi fosse portato a compimento su un terreno rinnovato, e cioè uno spirito rotto e contrito. La stessa dinamica si sarebbe ripetuta in seguito alla persecuzione della chiesa primitiva (At 8): infatti, è scritto che "tutti, ad eccezione degli apostoli, furono dispersi nelle regioni della Giudea e della Samaria" (At 8:1), ma Dio si servì di questa situazione per diffondere la Parola nelle regioni vicine (At 8:4) e per suscitare nuovi apostoli, come Filippo, l'evangelista della Samaria (At 8:5.8). Quindi, vediamo che la persecuzione attua una selezione tra chi continua a rimanere folla, e chi, invece, decide di fare una scelta definitiva per Gesù.

Torniamo ai discepoli e focalizziamo l'attenzione su Pietro, Giacomo e Giovanni. Sono gli unici tre che Gesù invitò ad assistere alla resurrezione della figlia di Iairo, alla trasfigurazione e al tormento del Getsemani. Perché? Certo non perché fossero i migliori, anzi: Pietro rivela da subito un carattere irruente e impulsivo, pronto addirittura a correggere il Maestro in merito alla predizione sulla propria morte imminente (Mt 16), mentre Giacomo e Giovanni, pieni di ambizione, provano a farsi raccomandare dalla madre per ottenere i primi posti nel Regno (Mr 10:35-45) e osano chiedere al Maestro il permesso di fulminare i Samaritani che non li hanno accolti (Lc 9:51-56)! Sono gli unici a cui Gesù mette un soprannome: Simone viene detto "Pietro", forse per la sua asprezza, e i figli di Zebedeo vengono chiamati "figli del tuono", presumibilmente per il loro impeto. Dunque, sono uomini imperfetti; e anche i loro progressi spirituali sono inficiati da questa natura: come abbiamo visto, un attimo dopo aver avuto la rivelazione del Figlio di Dio, Pietro si lascia prendere da Satana per tentare Gesù e rassicurarlo che non Gli succederà nulla di male; Giacomo e Giovanni, di contro, vengono ripresi due volte dal Maestro per le loro iniziative da primi della classe.

Eppure, saranno proprio questi tre discepoli che Paolo stimerà essere le "colonne" della chiesa di Gerusalemme (Ga 2:9). Come si spiega?

Gesù aveva individuato tre discepoli su tutti; erano oggetto del Suo interesse, motivo per cui aveva dato loro un soprannome caratterizzante. La scelta era caduta su di loro perché erano gli unici che avevano dimostrato di ambire a qualcosa di più, di non volersi accontentare delle esperienze fatte con tutti gli altri; e poco importa il loro atteggiamento fosse rozzo, arrogante e, a tratti, megalomane. Gesù fece stima del loro santo desiderio di gloria e mostrò a questi tre uomini imperfetti il percorso per ascendere dal luogo santo al luogo santissimo: in particolare, in tre momenti salienti, in ordine cronologico: 1) la resurrezione della figlia di Iairo (Mr 5:21-43); 2) la trasfigurazione (Mt 17:1-8); 3) il Getsemani (Mr 14:32-36).

1. Primo step: fede non comune. Partiamo dalla resurrezione della fanciulla: Gesù non permise che assistessero persone incredule, ma cercò persone di fede, e di fede vera. Volle, quindi, che lo seguisse solo qualcuno che fosso disposto a credere finanche nell' "assurdo", umanamente parlando. Come si vede, la fede prescinde dal carattere, anzi: una personalità volenterosa ed entusiasta, per quanto immatura o grossolana, può essere un buon terreno per lo sviluppo di una fede non comune. E solo una fede senza riserve può introdurci nel luogo santo, lontano dalle preoccupazioni della massa.

2. Secondo step: rivelazione non comune. La trasfigurazione fu il momento della gloria per eccellenza, figura del luogo santissimo: Mosè ed Elia da un lato, e Gesù dall'altro, rappresentano, come i due cherubini che si toccano le ali sul propiziatorio dell'Arca, la continuità tra l'Antico e il Nuovo Patto, di cui Gesù è il garante, confermato dalla voce del Padre dall'alto. Questa rivelazione sarebbe stata compresa appieno solo più tardi, ma per Gesù era importante dare questa perla preziosa ai suoi discepoli più cari. E questo è vero anche per noi: il Padre ci elargisce le Sue profondità, nonostante i nostri limiti, se sa che siamo disposti a lasciarci modellare.

3. Terzo step: sofferenza non comune. Essere in intimità con qualcuno vuol dire condividere gioie e dolori: Gesù avrebbe desiderato che i tre discepoli prediletti lo sostenessero nell'ora più buia, ma non fu così. Chiaramente, Egli sapeva che le sue aspettative sarebbero state deluse, ma voleva insegnare loro che una comunione piena con Lui avrebbe comportato anche questo. Unione con Dio può voler dire anche persecuzione, alla quale dobbiamo essere preparati, fuggendo quel Vangelo facile e a buon mercato che si adatta a tutti.

Possiamo concludere che nulla impedì a Gesù di continuare il Suo lavoro con i tre discepoli prediletti, e che Egli andò oltre le loro asprezze e cadute, perché, pur essendo incredibilmente difettosi, essi nutrivano un santo desiderio di gloria, l'unico terreno sul quale Dio possa veramente edificare il Suo regno; e così il nuovo Pietro aprì l'evangelo ai gentili, il nuovo Giacomo presiedette il primo concilio, il nuovo Giovanni scrisse l'ultimo libro delle Scritture. Se siamo disposti a fare sul serio con Dio, esattamente come i tre discepoli si misero nel cuore di fare dopo la fase entusiastica, ma fallimentare, possiamo star certi che Dio farà cose grandi con noi! Dio ci benedica!

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