Questioni bibliche
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Terra compromessa 

04.11.2023

Cinque argomenti biblici contro il sionismo nel cristianesimo moderno

È bastato davvero poco a scatenare la faziosità in una grossa fetta del popolo cristiano nel mondo.

Noi amiamo Israele e simpatizziamo con il popolo che per primo fu scelto da Dio per mostrare la Sua gloria tra le genti; condanniamo l'atto terroristico di Hamas e rigettiamo qualsiasi forma di violenza, e di qualsiasi colore politico. Ma questo non può voler dire appoggio incondizionato a tutto ciò che Israele dice e fa, politicamente e militarmente. Perché il sionismo- di questo si tratta- altro non è che estremismo.

Che una guerra epocale sia in atto in Palestina, è un dato di fatto: tra un bombardamento e un lancio di pietre, tra un atto terroristico e una risoluzione violata, la questione israelo-palestinese si trascina stancamente da tempo immemore, e le cause storico-politiche si intrecciano alle velleità nazionalistiche, patinate di ideologia religiosa, di entrambi i popoli.

Tanto premesso, la domanda cruciale per noi cristiani è: che posizione dovremmo assumere in merito a questa situazione? Dobbiamo sostenere Israele o condannare la guerra?

Il mondo cristiano appare diviso, in tal senso, e soprattutto indeciso, se non confuso, sulla corretta interpretazione delle Scritture a proposito del ruolo di Israele nell'attuale contesto spirituale, oltre che geopolitico. Eppure, a noi sembra che la Parola di Dio abbia tanto da dire. Bibbia alla mano, quindi, facciamo un po' di chiarezza, partendo da una premessa storica.

1. Il sionismo è un movimento politico e ideologico, che non ha nulla di spirituale, ed è estraneo sia al giudaismo, che alle Scritture.

Le rivendicazioni territoriali di Israele non sono la diretta conseguenza dell'interpretazione della Torah, ma delle istanze del sionismo, il movimento politico fondato alla fine del 1800 che incita gli Ebrei al ritorno nella "terra promessa" e all'allontanamento dei non Ebrei. Il suo fondatore è il giornalista austriaco Theodore Herzl, il quale, preso atto delle continue persecuzioni a cui gli Ebrei erano sottoposti, si fece promotore dell'idea che a Israele spettasse un proprio Stato in Palestina.

Senza entrare nel merito della questione dell'autodeterminazione di un popolo, che riteniamo legittima, dobbiamo specificare, però, che il sionismo ha assunto connotazioni nazionalistiche, con tutte le conseguenze possibili, e cioè l'intolleranza e la discriminazione dell'elemento etnico non ebraico presente in Palestina. In più, il sionismo è stato manovrato e finanziato da varie potenze mondiali allo scopo di destabilizzare il Medio-Oriente, e si è imposto, da un lato, sulla scia della strumentalizzazione dell'Olocausto; dall'altro, sulla manipolazione del testo biblico a scopo politico.

È quanto denunciano gli Ebrei che hanno preso le distanze dal sionismo, specificando che la fede giudaica condanna ogni forma di violenza. Queste le parole del Rabbi Yisroel Dovid Weiis: "Vogliamo che il mondo sappia che il movimento sionista non è un movimento ebraico. È stato un movimento politico e materiale creato da eretici che semplicemente cercano di inglobare la nostra religione nel tentativo di intimidire e mettere a tacere le persone che si oppongono, definendole antisemite" (www-infopal-it.cdn.ampproject.org).

Come è facile immaginare, il sionismo ha allungato i suoi tentacoli anche sui media, che stanno propagandando una versione "occidentalista" della guerra in corso (D. De Villepin) e inculcando l'idea che Israele abbia il diritto di perpetrare qualsiasi atrocità pur di arrivare ai propri scopi. E, incredibilmente, molti cristiani sono caduti nel tranello, ritenendo che la Parola supporti Israele nel suo comportamento aggressivo. Ma le cose stanno davvero così?

Una lettura attenta delle Scritture ci mostrerà che Dio non ha nessuna intenzione di assecondare le pretese del Sionismo: "Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servi combatterebbero affinché io non fossi dato in mano dei Giudei; ma ora il mio regno non è di qui" (Gv 18:36).

2. L'elezione di Israele è "senza pentimento" (Rm 11:29), ma è finalizzata alla salvezza e funziona allo stesso modo dell'elezione di tutti gli altri figli di Dio.

Nella cristianità esistono due movimenti d'opinione opposti a proposito dell'elezione di Israele: quello che ritiene che Israele sia stato rigettato per sempre da Dio, in quanto ha rifiutato Cristo come Messia e lo ha, addirittura. crocifisso, e quello che sostiene l'elezione permanente di Israele, intesa come una sorta di "corsia preferenziale" per ereditare le promesse, a prescindere dalla propria condizione spirituale.

L'epistola ai Romani, al capitolo 11, ci restituisce una visione equilibrata delle cose. L'apostolo Paolo, infatti, ci ricorda che Dio ha, sì, rigettato Israele per la sua disubbidienza, ma gli ha anche promesso di suscitare un residuo a cui concedere la salvezza (vv. 1-5). I gentili vengono ammoniti a non insuperbirsi verso Israele, in quanto è stata la debolezza di Israele a concedere loro l'ammissione alla grazia, e sarà la loro pienezza a favorire la riammissione alla grazia di Israele (vv. 11-15). L'ulivo selvatico (i gentili) è stato innestato nell'ulivo domestico (gli Israeliti), v. 24. "Poiché Dio ha rinchiuso tutti nella disubbidienza, per far misericordia a tutti", v. 32.

Paolo, cioè, mette gli Israeliti e i gentili sullo stesso piano: non conta la storia o la provenienza di ciascun popolo, ma solo il residuo dei salvati, a cui è concessa la stessa misericordia. Non è, quindi, accettabile, la tesi di coloro che si spingono, addirittura, a sostenere che tutti gli Israeliti saranno salvati, manipolando il seguente versetto: "e così tutto Israele sarà salvato come sta scritto: «Il liberatore verrà da Sion, e rimuoverà l'empietà da Giacobbe. E questo sarà il mio patto con loro, quando io avrò tolto via i loro peccati»", vv. 26-27.

Infatti, come vedremo al punto 3, il termine "Israele" si riferisce a tutta la progenie spirituale di Abramo, che include Israeliti e non. In questo capitolo dei Romani, Paolo parla di un residuo di salvati, come anticipato in Rm 9:27: "Ma Isaia esclama riguardo a Israele: «Anche se il numero dei figli d'Israele fosse come la sabbia del mare, solo il residuo sarà salvato»".

3. Le promesse di Dio sono riservate solo ai Suoi figli: non a coloro che si ritengono tali per nascita, ma a quelli che lo diventano per fede.

Si osservi quanto afferma Paolo nei seguenti passi, che abbiamo voluto mettere in evidenza perché riteniamo di un'importanza cruciale:

Rm 9:6-8: "non tutti quelli che sono d'Israele sono Israele. E neppure perché sono progenie di Abrahamo sono tutti figli; ma: «In Isacco ti sarà nominata una progenie». Cioè, non i figli della carne sono figli di Dio, ma i figli della promessa sono considerati come progenie".

Ga 3:6-7: "Così Abrahamo «credette a Dio, e ciò gli fu messo in conto di giustizia»; sappiate pure che coloro che sono dalla fede sono figli di Abrahamo".

• Ga 3:28-29: "non c'è né Giudeo né Greco, non c'è né schiavo né libero, non c'è né maschio né femmina, perché tutti siete uno in Cristo Gesù. Ora, se siete di Cristo, siete dunque progenie d'Abrahamo ed eredi secondo la promessa".

• Rm 2:28: "Infatti il Giudeo non è colui che appare tale all'esterno, e la circoncisione non è quella visibile nella carne; ma Giudeo è colui che lo è interiormente, e la circoncisione è quella del cuore, nello spirito, e non nella lettera".

Se ci fosse ancora bisogno di commenti, appare fin troppo evidente che la condizione di Israelita viene collegata a un'esperienza spirituale sincera, indipendentemente dall'etnia. Gesù stesso disse di Nathanaele: "Ecco un vero Israelita nel quale non c'è inganno" (Gv 1:47).

Come abbiamo visto in Galati 3:29, l'essere vera progenie di Abrahamo comporta il diritto di ereditare le promesse: ma quali promesse?

4. La ricompensa per i figli di Dio è uguale per tutti e non consiste in beni materiali, ma in beni spirituali del Regno.

La parabola degli operai dell'ultima ora (Mt 20:1-16) non lascia spazio a dubbi: per quanto a qualcuno possa sembrare ingiusto, la ricompensa per i servi di Cristo di ogni tempo è sempre la stessa.

E in cosa consiste questa ricompensa? In beni materiali?

Assolutamente no. I brani riportati di seguito ci illustrano che Gesù è venuto a stabilire un regno spirituale, e non terreno; siamo stati chiamati a far morire le opere della carne e a praticare la pace "in un sol corpo", perchè la nostra cittadinanza è nei cieli.

At 14:20-21: "E, dopo aver evangelizzato quella città e fatto molti discepoli, se ne ritornarono a Listra, a Iconio e ad Antiochia, confermando gli animi dei discepoli e esortandoli a perseverare nella fede, e dicendo che attraverso molte afflizioni dobbiamo entrare nel regno di Dio".

• Col 3:1-15: "Se dunque siete risuscitati con Cristo, cercate le cose di lassù, dove Cristo è seduto alla destra di Dio. Abbiate in mente le cose di lassù, non quelle che sono sulla terra, perché voi siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio (…). Fate dunque morire le vostre membra che sono sulla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e avidità, che è idolatria; per queste cose l'ira di Dio viene sui figli della disubbidienza, fra cui un tempo camminaste anche voi, quando vivevate in esse. Ma ora deponete anche voi tutte queste cose: ira, collera, cattiveria (…). Qui non c'è più Greco e Giudeo, circonciso e incirconciso, barbaro e Scita, servo e libero, ma Cristo è tutto e in tutti (…). E sopra tutte queste cose, rivestitevi dell'amore, che è il vincolo della perfezione. E la pace di Dio, alla quale siete stati chiamati in un sol corpo, regni nei vostri cuori".

• Fl 3:20: "La nostra cittadinanza infatti è nei cieli, da dove aspettiamo pure il Salvatore, il Signor Gesù Cristo".

È plausibile, dunque, pensare che agli Israeliti tocchi qualcosa in più oltre alle cose celesti, nello specifico la terra?

Il passo più strumentalizzato per sostenere l'eredità terrena degli Israeliti è Isaia 65:9: "Io farò uscire da Giacobbe una progenie e da Giuda un erede dei miei monti; i miei eletti possederanno il paese e i miei servi vi abiteranno". Se, però, leggiamo anche il Salmo 37, al v. 29 scopriamo che "i giusti erediteranno la terra e godranno abbondanza di pace": l'eredità, quindi, è destinata ai "giusti", e non a una singola etnia, e il possesso della terra è associato ad "abbondanza di pace".

Come si può giustificare, dunque, una guerra finalizzata al possesso della terra? Qualsiasi cosa rappresenti la terra, non può che trattarsi di una terra spirituale!

Si leggano, a tal proposito, i seguenti versi: "Infatti la promessa di essere erede del mondo non fu fatta ad Abrahamo e alla sua progenie mediante la legge, ma attraverso la giustizia della fede. Poiché se sono eredi quelli che sono della legge, la fede è resa vana e la promessa è annullata, perché la legge produce ira; infatti dove non c'è legge, non vi è neppure trasgressione. Perciò l'eredità è per fede; in tal modo essa è per grazia, affinché la promessa sia assicurata a tutta la progenie, non solamente a quella che è dalla legge, ma anche a quella che deriva dalla fede di Abrahamo", Rm 4:13-16.  Qui Paolo conferma che:

- La promessa è di ereditare il mondo, non un singolo pezzo di terra.

- La promessa si ottiene per fede, e non per la legge.

- La promessa è per tutta la progenie di Abrahamo che attua la fede, sia la progenie carnale che quella spirituale.

Urge, a questo punto, un chiarimento circa il famoso argomento della terra contesa perché abitata dai due discendenti di Abrahamo, Isacco e Ismaele, l'ultimo dei quali non previsto nel piano perfetto di Dio; gli Ismaeliti, secondo questa supposizione, sarebbero, ancora oggi, una spina nel fianco dei fratellastri, discendenti di Isacco.

In Genesi 15:18-21, Dio promette alla discendenza di Abrahamo il territorio che va dal Nilo all'Eufrate; successivamente, al v. 12, promette ad Agar, madre di Ismaele, di fare anche di lui un popolo numerosissimo che "abiterà di fronte ai suoi fratelli", da Avila a Sur (Ge 25:18), un territorio che corrisponde alla penisola arabica.

Attenzione. Un conto è il patto, che il Signore ha stabilito solo con i discendenti di Isacco (Ge 17:19), un conto è la terra, che Egli ha assegnato a tutta la discendenza di Abrahamo (ricordiamo che, nella discendenza di Abrahamo, non ci sono solo gli Ismaeliti, ma anche i figli avuti da Chetura, la donna sposata dopo la morte di Sara, Ge 25:1-4).

Dunque, se ci fermiamo al livello letterale, quella terra non è stata destinata ai soli discendenti di Isacco, ma anche a tutti gli altri discendenti di Abrahamo (come abbiamo letto al punto 4, però, si tratta di una discendenza spirituale e di una terra spirituale).

Il problema dell'attuale conflitto non è nell'insufficienza della terra, ma piuttosto nella natura delle popolazioni che vi abitano: di Ismaele (Arabi) Dio rivela che "è come un asino selvatico (...)la sua mano sarà contro tutti, e la mano di tutti contro di lui" (Ge 16:12); degli Ebrei Paolo afferma, citando i profeti: "Infatti il cuore di questo popolo si è indurito, e sono diventati duri di orecchi e hanno chiuso gli occhi (...)" (At 28:27). 

In altre parole, manca Cristo nei cuori.

Ognuno di noi nasce con una natura peccaminosa e imperfetta; la soluzione, però, esiste, e l'ha provveduta Dio stesso: Cristo. Egli può cambiare il cuore di pietra in cuore di carne.

5. Il cristiano è contro le liti, le fazioni e le opere della carne in generale.

"Or io dico: Camminate secondo lo Spirito e non adempirete i desideri della carne; la carne, infatti, ha desideri contrari allo Spirito, e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; e queste cose sono opposte l'una all'altra, cosicché voi non fate quel che vorreste" (Ga 5:16).

Se crediamo davvero che Cristo sia il principe della pace, dobbiamo avere il coraggio di praticare questa realtà e di prendere posizione contro la guerra e l'omicidio, con la stessa naturalezza con cui diciamo "no" all'aborto. Il fatto che, secoli fa, il Signore avesse ordinato agli Israeliti lo sterminio dei Cananei non significa che Israele sia autorizzato a sterminare in modo perpetuo: la conquista di Canaan era stata decretata per un tempo, ed aveva una ragione spirituale, che oggi, per noi, rappresenta la vittoria della fede sul peccato e sull'idolatria. Non altro.

Conclusioni

C'è solo una via d'uscita per Israeliani e Palestinesi, ed è piegare le ginocchia a Cristo. Per quanto possa dispiacere, tutto ciò che sta accadendo è solo la conseguenza della ribellione del cuore e della disobbedienza alla Parola di Dio, e non avrà fine fino a quando non subentrerà un serio ravvedimento da entrambe le parti. Allora "tutto Israele sarà salvato" (Rm 11.26), e cioè sia il residuo israelita che quello palestinese.

Evitiamo di parteggiare, contaminandoci con pensieri e parole che contristano lo Spirito Santo e che disonorano il Vangelo, e preghiamo "per la pace di Gerusalemme" (Sal 122:6), sapendo che non possiamo pregare per la pace altrui se non abbiamo pensieri di pace in noi.

Dio ci benedica!


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