Questioni bibliche Perché Dio permette certe tragedie?
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PERCHE' DIO PERMETTE CERTE TRAGEDIE?

(Luca 13:19)

In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù rispose: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Sìloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo» (Lu 13:1-5).

Quando si presentarono da Gesù per raccontargli l'ultima atrocità di Pilato, Egli conosceva cosa stavano covando nell'intimo dei loro cuori: se Dio aveva permesso tanto male, era per manifestare tutta la Sua disapprovazione verso quei Galilei ribelli. Tanto più che le sette del Giudaismo erano rivali tra di loro, e questo gruppo di Galilei apparteneva certamente alla setta degli Zeloti, che credeva fermamente nel combattimento politico contro l'oppressore romano. Va da sé che i non Zeloti ne approfittarono per affermare che erano in errore.

È notorio che i Giudei collegassero la benedizione di Dio alla prosperità e al successo; di conseguenza, il fallimento non poteva essere altro che un segno di maledizione. Vogliamo ricordare che le Scritture stesse suggeriscono quest'interpretazione: in Deuteronomio 27 e 28, si afferma apertamente che l'obbedienza è causa di benedizione; la disobbedienza, viceversa, di maledizione. Ecco perché Gesù stesso, al momento della crocifissione, sarebbe stato ritenuto "colpito da Dio" (Is 53:4) e, addirittura, sarebbe risultato di "scandalo per i Giudei" (1 Co 1:23).

Ma quei Giudei non sapevano quanto fossero vani i propri ragionamenti. Al v. 34, Gesù accenna profeticamente alla distruzione prossima di Gerusalemme. Quei Giudei, che volevano insinuare una qualche colpa dei loro fratelli zeloti, avrebbero fatto una fine ben peggiore. L'assedio di Gerusalemme del 70 per mano dell'imperatore romano Tito fu una delle pagine più tristi della storia: lo storico Giuseppe Flavio narra che il numero complessivo dei morti da parte dei Giudei fu di un milione e centomila (Guerra Giudaica, V, par. 13, n. 569; VI, par. 9, n. 420), di cui 600 mila morti di stenti e fame e 500 mila uccisi.

Al di là di ciò che credevano i Farisei, è chiaro che le disgrazie succedano, e non solo ai malvagi. Sul perché succedano, torneremo alla fine dell'articolo. Nel frattempo, suggeriamo il video più che esaustivo di Paulo Junior ("E' Dio che manda la malattia?") al seguente link del nostro canale Youtube: https://www.youtube.com/watch?v=LT0IkTg8S3Q&ab_channel=QuestioniBibliche

Il punto su cui vogliamo approfondirci, per adesso, è un altro: quei Galilei, disse Gesù, non erano affatto più peccatori di tutti loro. Così come le vittime del crollo della torre di Siloe. Una rivelazione che spiazzò tutti.

Attenzione: Gesù non disse neanche che erano meno peccatori. Erano tutti ugualmente peccatori. E, senza ravvedimento, sarebbero andati tutti ugualmente all'inferno.

Molti impiegano tutta la propria vita a cercare di darle un senso, ma l'unico scopo per cui valga la pena di vivere è prepararsi per l'eternità. Alcuni si prestano a battaglie ideologiche o di principio, ed esattamente come quei Galilei ribelli a Pilato, spesso, muoiono sul campo. Ed oggi, come allora, il giudizio della gente si divide: inizia uno spontaneo processo di "eroizzazione" collettiva dei malcapitati, ma la mente associa altrettanto istintivamente la caduta di costoro a una qualche forma di biasimo divino.

Oppure, accade che persone "ordinarie" rimangano vittime di incidenti disastrosi, proprio come i morti per il crollo della torre di Siloe: anche in questo caso, la retorica d'occasione impone una "santificazione" delle vittime incolpevoli; ma l'idea che "Dio non sia intervenuto" continua a martellare la testa dei più.

Ciò che è accaduto recentemente in tutto il mondo- mi riferisco alla pandemia- dovrebbe farci riflettere. Tutti ci siamo chiesti perché Dio non abbia scampato, talora, nemmeno i Suoi figli, e abbiamo pensato che il Suo giudizio fosse piombato su di loro. La verità è che stiamo vivendo come se fossimo eterni, rimandando quanto più possibile l'idea della nostra ultima ora e sperando, fatalisticamente, che a noi toccherà il privilegio di essere rapiti in cielo, come Elia!

Alle perplessità di quei Giudei, che potremmo essere tutti noi, Gesù rispose spostando l'attenzione sul vero problema. Non importa di che morte possiamo morire: importa come ci trova Dio in quell'ultimo istante. A cosa serve aver sacrificato la propria vita in nome di un ideale, se ci aspetta un'eternità senza Dio? Quanto sarà stata inutile la nostra esistenza, se l'avremo condotta futilmente, senza mettere in conto che avremmo potuto andarcene da un giorno all'altro?

In Ecclesiaste 7:1 è scritto che "il giorno della morte è preferibile a quello della nascita". L'uomo ha lo sguardo rivolto a questa Terra, ma Dio ha preparato qualcosa di meglio: un'eternità con Lui. E ci invita ad adoperarci per essa, e a rifuggire le false consolazioni di questo mondo.

Subito dopo l'incontro con i Giudei descritto in Luca 13, Gesù racconta la parabola del fico sterile. L'accostamento non è affatto casuale. Finalmente ci viene spiegato qual è il vero scopo della nostra esistenza, e quale dovrebbe essere la nostra occupazione principale: portare frutto alla gloria di Dio per l'avanzamento del Suo regno. E, forse, possiamo trovare anche una prima risposta (non pretendiamo di averle tutte) a quella fatidica domanda che continua a frullarci nella testa: perché Dio permette certe tragedie?

Quando un agricoltore pianta un albero da frutto, è solo per un motivo: si aspetta il frutto! Ed è molto più contento se il frutto è abbondante. Nessun agricoltore pianterebbe un melo, un ciliegio o un limone per ammirarne lo splendore delle foglie. E, se il frutto non arriva, inizia a chiedersi come intervenire.

È interessante l'osservazione del padrone della vigna: "perché questo fico sterile deve occupare inutilmente il terreno?" (Lu 13:7). Consideriamo che questa domanda è rivolta a tutti noi. Dio ci osserva mentre conduciamo, più o meno consapevolmente, la nostra vita devozionale, e si chiede come fare per non farci essere inutili. Proprio così: mentre noi attendiamo da Lui benedizioni, Egli attende da noi una sola cosa: frutto!

E così tanti credenti passano una vita a non comprendere il reale lavoro che il Signore sta facendo intorno a loro: come è scritto, zappare e concimare (Lu 13:8). Sì, ho detto "intorno" a loro, e non "su" di loro. Perché ciò che modella l'interiore del cristiano sono le situazioni esterne, che, il più delle volte, sono tutt'altro che piacevoli: non è un caso che, nella parabola, il concime utilizzato sia il letame!

Tutto ciò che ci accade è il concime -puzzolente ma nutriente- che ci serve per farci portare frutto. Se è in gioco la nostra eternità, Dio farà l'impossibile per scamparci dall'ira a venire, spezzando il nostro orgoglio e piegando il nostro egocentrismo. Se Dio si aspetta da noi un servizio esemplare, ci indurrà all'ascolto e all'umiltà. Se siamo ancora attratti dal peccato, Dio lascerà che ci scottiamo con esso.

Allora non chiediamoci più: "Perché a me?" E neanche: "Perché non a me?". Ma domandiamoci: "A quale scopo? Cosa ti aspetti da me, Signore? Quale nuovo terreno devi conquistare in me?".

Con la consapevolezza che, se non ora, un giorno avremo tutte le risposte. E soprattutto "Egli asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non ci sarà più la morte, né cordoglio, né grido, né dolore, perché le cose di prima sono passate" (Ap 21:4).


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