Questioni bibliche Matrimoni misti: sono possibili, secondo la Bibbia?
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MATRIMONI MISTI: 

SONO POSSIBILI, SECONDO LA BIBBIA?

Il matrimonio è un'istituzione divina (Ge 2:18-24; Mt 19:5-6), per cui la sua validità prescinde dal credo dei coniugi: un matrimonio -purché sia ufficialmente e pubblicamente riconosciuto dalle istituzioni civili e/o dalla comunità di appartenenza (v. Quando una coppia si considera sposata e quando no?)- è valido se è cattolico, islamico, buddhista, animista e persino ateo.

Tuttavia, il matrimonio cristiano è disciplinato dalla Parola di Dio- per quanto determinate indicazioni vengano spesso sottovalutate, se non del tutto ignorante, anche dai credenti più "navigati".

In 2Corinzi 6:14-17, a proposito del rapporto con i non credenti, l'apostolo Paolo ammonisce fermamente la Chiesa con queste parole:

"Non vi mettete con gli infedeli sotto un giogo diverso, perché quale relazione c'è tra la giustizia e l'iniquità? E quale comunione c'è tra la luce e le tenebre? E quale armonia c'è fra Cristo e Belial? O che parte ha il fedele con l'infedele? E quale accordo c'è tra il tempio di Dio e gli idoli? Poiché voi siete il tempio del Dio vivente, come Dio disse: «Io abiterò in mezzo a loro, e camminerò fra loro; e sarò il loro Dio, ed essi saranno il mio popolo». Perciò «uscite di mezzo a loro e separatevene, dice il Signore, e non toccate nulla d'immondo, ed io vi accoglierò, e sarò come un padre per voi, e voi sarete per me come figli e figlie, dice il Signore Onnipotente».

Come si vede, prima ancora di essere un problema per il matrimonio, la comunione con i non cristiani è un intoppo per la propria fede, in quanto apre le porte a un mondo spirituale negativo per il quale Cristo ha sofferto ed è morto.

Si noti che Paolo ne fa una questione teologica, perché afferma che:

- esistono solo due possibili strade: o la giustizia, o l'iniquità; o la luce, o le tenebre (v.14); o Cristo, o Belial; o il fedele, o l'infedele (v.15); o il tempio di Dio, o gli idoli (v.16): inutile illudersi di altre casistiche;

- rispetto ai non credenti, non possono esserci né relazione, né comunione (v.14), né armonia, né parte (v.15), né accordo (v.16);

- il credente, essendo il tempio del Dio vivente (v.16), non deve avere contatto con ciò che è impuro (v.17), perché Dio rivendica la nostra appartenenza esclusiva a Lui;

-l'indicazione per il credente è quella di separarsi da chi non segue la via di Cristo, il che è condizione necessaria per essere accolti da Dio come figli (v.17).

Come, dunque, può riuscire un matrimonio, se queste sono le premesse, dal momento che lo scopo del Signore è fare dei due coniugi "una sola carne"? Inevitabilmente, uno dei due seguirà l'altro, e -ahimè- non sempre sulla strada di Cristo.

L'ammonimento di Paolo fa eco alla prescrizione mosaica contenuta in Deuteronomio 7:1-4, da cui è possibile dedurre che Dio non ha mai cambiato idea circa i rapporti con i non credenti:

"Quando l'Eterno, il tuo DIO, ti avrà introdotto nel paese in cui entri per prenderne possesso, e avrà scacciato davanti a te molte nazioni: gli Hittei, i Ghirgasei, gli Amorei, i Cananei, i Perezei, gli Hivvei e i Gebusei (…) Non contrarrai matrimonio con loro. Non darai le tue figlie ai loro figli e non prenderai le loro figlie per i tuoi figli, perché allontanerebbero i tuoi figli dal seguire me per servire altri dèi, e l'ira dell'Eterno si accenderebbe contro di voi e vi distruggerebbe subito".

Urgono, a questo punto, due chiarimenti:

1. Nella vita quotidiana abbiamo a che fare, per forza di cose, con moltissimi non credenti, tra cui familiari e parenti. Dobbiamo escluderli dalla nostra vita?

No. La Bibbia condanna l'adesione volontaria a uno stile di vita non biblico e la condivisione di esso con persone non rinate in Cristo; questo è ben diverso dal rapporto finalizzato:

- alla cura parentale. Anzi, la Parola dice che"se uno non provvede ai suoi, e principalmente a quelli di casa sua, ha rinnegato la fede ed è peggiore di un incredulo" (1 Timoteo 5:8). In questo caso prevale il dovere di assistenza, che è slegato dal credo della persona.

- alla collaborazione lavorativa. Il lavoro è una necessità imposta all'uomo da Dio (Gn 3:17-19), il quale condanna la pigrizia (Proverbi 18:9) e benedice chi investe i propri talenti (Mt 25:14-30). Il lavoro, infatti, se svolto bene, è un'occasione per spargere una buona testimonianza presso i perduti, favorendo persino l'accesso alle autorità e la loro direzione (Daniele, Giuseppe…).

-alla testimonianza di fede.L'evangelizzazione ci porta a diretto contatto con il mondo dei perduti, dal quale non possiamo uscire (Gv 15:18-21) ma Gesù ci ha assicurato che, se ci facciamo lavare i piedi da Lui, possiamo evitare di rimanere compromessi con il peccato (Gv 13:8). Sarebbe un grave errore, dunque, darsi all'isolamento o all'eremitaggio per evitare di contaminarsi, in quanto la nostra chiamata è là fuori.

2. E se una persona è venuta a Cristo dopo aver contratto matrimonio con un non credente? Deve lasciarlo?

No. Lo stesso Paolo, in 1 Corinzi 7:12-16, consiglia:

"Ma agli altri dico io, non il Signore: se un fratello ha una moglie non credente ed ella acconsente ad abitare con lui, non la mandi via; e la donna che ha un marito non credente, se egli consente ad abitare con lei, non mandi via il marito; perché il marito non credente è santificato nella moglie, e la moglie non credente è santificata nel marito credente; altrimenti i vostri figli sarebbero impuri, mentre ora sono santi. Però, se il non credente si separa, si separi pure; in tali casi, il fratello o la sorella non sono obbligati a continuare a stare insieme; ma Dio ci ha chiamati a vivere in pace; perché tu, moglie, che sai se salverai tuo marito? E tu, marito, che sai se salverai tua moglie?".

Qui è evidente che si parladi mariti e mogli convertitisi dopo un matrimonio non cristiano: essi, infatti, fanno sì che il coniuge si ritrovi, suo malgrado, in una situazione di coppia totalmente nuova, al punto da poter decidere di lasciare il credente (v.12, "se ella consente; v.13, "se egli consente"; v.15, "se si separa"). Come comportarsi?

L'apostolo suggerisce al coniuge che si converte di non separarsi e di continuare la convivenza con il non credente, e ancora una volta il motivo è teologico: il credente santifica il coniuge ed i figli (v.14), cioè influenza e preserva, con il proprio stile di vita, tutta la famiglia, che può, in tal modo, venire a Cristo (v.16).

Quest'ultimo caso, ovviamente, è diverso da quello in cui il credente scelga di iniziare una relazione sentimentale con un non credente, ignorando di proposito tutti gli avvertimenti della Parola di Dio: un conto è ritrovarsi in una situazione, un conto è sceglierla volontariamente.

Crediamo, dunque, che il matrimonio misto non rientri nella piena volontà di Dio. Vogliamo anche aggiungere che non è la frequentazione di una chiesa evangelica a garantire la serietà dell'esperienza di fede di un credente, bensì il perseverare in essa privatamente e pubblicamente, con frutti duraturi alla gloria di Dio. Pertanto, la riuscita di un matrimonio dipende piuttosto da quanto spazio Cristo ha conquistato realmente nei cuori dei due contraenti.

Dio ci benedica!

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