Questioni bibliche Quando tutto sembra andare storto
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QUANDO TUTTO SEMBRA ANDARE STORTO

Ci sono momenti, nella vita, che sembra che Dio ci stia totalmente ignorando, o, addirittura, che stia facendo l'opposto di quel che vorremmo. Ci sentiamo quasi boicottati dall'Onnipotente nelle nostre aspirazioni più elementari, e finiamo nel vortice della frustrazione.

Giona era un uomo riottoso alla voce di Dio. Attenzione: non abbiamo detto che non sapeva distinguere la voce di Dio, ma che cercava con tutte le sue forze di ignorarla. Mentre Dio aveva in mente un piano glorioso sia per il popolo di Ninive, che per la vita del profeta, l'uomo Giona cercava di convincere Dio a cambiare idea. Perché? Perché l'uomo Giona non accettava tutto questo, e c'è una ragione ben precisa.

La storia di Giona è piuttosto nota: egli venne chiamato da Dio a profetizzare distruzione ai Niniviti, ma si rifiutò di andare, e fuggì in mare, in direzione opposta. Dio, però, mandò a monte i suoi piani, facendolo inghiottire da un grosso pesce, nel quale rimase tre giorni e tre notti, prima di essere "risputato" a riva. E, solo in seguito a questa esperienza così tormentata, Giona si arrese e si decise a obbedire (Giona 1;3).

Non tutti sanno che la Bibbia ci fa incontrare Giona in un contesto molto diverso da questo: la corte del re Geroboamo, di cui era collaboratore apprezzato. Infatti, il re era riuscito a ristabilire i confini d'Israele "dall'ingresso di Hamath al mare dell'Arabah, secondo la parola dell'Eterno, il DIO d'Israele, pronunciata per mezzo del profeta Giona figlio di Amittai, che era di Gath-Hefer", (2Re 14:25). Che si tratti dello stesso Giona, ci è dato sapere grazie al fatto che anche nell'omonimo libro si parla di lui come "figlio d'Amittai".

Alla corte del re, possiamo immaginare che il profeta se la passasse bene. Aveva stima, onori e comodità, non solo perché era il braccio destro del re, ma soprattutto perché una sua profezia aveva consentito l'espansione del regno. Ma, un giorno, Dio parlò a Giona dandogli un incarico "scomodo": andare a Ninive per profetizzare la distruzione della città ai suoi abitanti, gente piena di peccato. Si trattava di uscire fuori dalla "zona confort" per fare un salto verso l'ignoto.

Si potrebbe pensare che Giona avesse qualche timore ad affrontare i Niniviti perché si trattava di un popolo senza Dio e che, quindi, avrebbe potuto ucciderlo. In fondo, molti profeti avevano fatto quella fine. Invece, le preoccupazioni di Giona erano altre.

Inaspettatamente, alla predicazione di Giona, il re di Ninive e i suoi abitanti scelsero di dare ascolto al profeta, si umiliarono davanti a Dio e si pentirono: a quel punto, Dio decise di risparmiarli. Ora penserai che Giona sarà stato contento di tutto questo. Ma non è così.

"Ma questo dispiacque molto a Giona, che si adirò. Così egli pregò l'Eterno, dicendo: «Deh, o Eterno, non era forse questo che dicevo quand'ero ancora nel mio paese? Per questo sono fuggito in precedenza a Tarsish, perché sapevo che sei un Dio misericordioso e pieno di compassione, lento all'ira e di gran benignità, e che ti penti del male minacciato. Or dunque, o Eterno, ti prego, toglimi la vita, perché per me è meglio morire che vivere» (Giona 4:1-3).

Incredibilmente, Giona ci rimase male. Perché? Perché la sua parola profetica non era stata mandata a effetto. Vediamo che Dio cerca di farlo ragionare come si fa con un bambino, ma inutilmente. Giona sapeva che Dio può essere mosso a pietà da un serio ravvedimento, ma, anziché gioire per la salvezza di un popolo, iniziò a covare amarezza per sé stesso. Cosa avrebbero detto i suoi? Il profeta della vittoria tornava sconfitto. La città del peccato si era salvata. Che disdetta! Ebbene sì: Giona sentiva intaccata la propria reputazione, e non si preoccupava minimamente del destino delle anime di quella città. Ma Dio decise di formare il povero Giona, lavorando sui lati oscuri del suo cuore.

Se pensiamo che tutto questo non ci riguardi, siamo in errore. A volte il servizio che offriamo all'Eterno è solo un pretesto per servire noi stessi e il nostro desiderio di approvazione o compiacimento, ma non ha nulla a che fare con la benedizione altrui; è un servizio che non si radica sul terreno di un cuore compassionevole, modellato su quello del Padre. Ed Egli ci porterà in tutti i modi a comprendere che un simile servizio, scollegato dalla passione per le anime, non Gli interessa. Egli vuole che noi Lo serviamo come Gesù ha servito l'umanità: "Il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito, ma per servire" (Mc 10:35); e non è un caso che Gesù si sia paragonato a Giona per rappresentare Sé stesso.

L'esperienza della clausura nel ventre del pesce dovette essere per Giona qualcosa di opprimente. L'insolito luogo della prigionia scelto per lui da Dio ha un perché: il pesce nel mare rappresenta l'anima da salvare. Gesù è sceso nell'abisso per salvare anime, in quei tre giorni che scomparve dalla terra. Ha scelto di lasciare il luogo della gloria ed è sceso nel luogo della morte. Giona dovette provare la sensazione della morte, della prigionia e dell'oppressione per capire quale fosse lo stato delle anime a cui andava a predicare.

Se ti senti deluso perché i tuoi sforzi non corrispondono al risultato che ti aspettavi e i progressi delle anime non ti fanno sentire benedetto, dovresti allarmarti. Sono gli stessi sentimenti del fratello del figlio prodigo, che non riusciva a gioire per il suo ritorno e ravvedimento; si sentiva addirittura messo in secondo piano, come se il suo lavoro in quella casa non fosse stato sufficientemente considerato, cosa che non corrispondeva alla realtà. Il fatto era che lui non riusciva neanche ad apprezzare tutto il bene che c'era nello stare a contatto quotidiano col Padre e nel non aver sperperato i Suoi beni (Lc 15:11-32).

Le disavventure di Giona furono inquadrate dal profeta come una forma di persecuzione da parte di Dio nei suoi confronti, ma l'intento del Padre era quello di insegnargli la compassione. Fino alla fine Giona contenderà con l'Eterno, ma Egli non smetterà di provare a farlo ragionare. Può essere che, in questo momento, ci troviamo nella stessa situazione; Dio ce l'ha con noi? No: ci sta formando all'immagine di Cristo.

Alla fine del libro, vediamo che Giona si costruì una capanna fuori città per farsi ombra e vi si accampò: per quanto sia assurdo, sperava che, alla fine, la distruzione sarebbe arrivata comunque (Giona 4:5). A quel punto, Dio fece crescere su di lui una pianta "per fare ombra al suo capo e liberarlo dal suo male" (Giona 4.6). Evidentemente, la capanna costruita dal profeta non bastava a fare ombra: Dio provvide qualcosa di meglio, a testimonianza della Sua infinita misericordia. Ma lo scopo non era semplicemente fare ombra: era "liberarlo dal suo male". Lo scopo di Dio non è darci una rinfrescata con una benedizione speciale, ma liberarci dal peccato e redimerci. È il lavoro del vasaio con l'argilla: liberarci dal cuore di pietra per darci un cuore di carne.

Giona provò un grande gioia alla vista di quella pianta, ma l'indomani Dio stesso mandò un verme a danneggiarla e farla seccare. A quel punto, il caldo divenne insopportabile e Giona chiese di nuovo di morire (Giona 4.8). La risposta di Dio è proverbiale: "Dio disse a Giona: «Fai bene a irritarti così a causa del ricino?» Egli rispose: «Sì, faccio bene a irritarmi così, fino a desiderare la morte». Il SIGNORE disse: «Tu hai pietà del ricino per il quale non ti sei affaticato, che tu non hai fatto crescere, che è nato in una notte e in una notte è perito; e io non avrei pietà di Ninive, la gran città, nella quale si trovano più di centoventimila persone che non sanno distinguere la loro destra dalla loro sinistra, e tanta quantità di bestiame?» (Giona 4:9-11).

La verità è che Dio può ogni cosa, ma non è intenzionato ad assecondare le nostre velleità. In quel momento, Giona si era posizionato fuori dalla volontà di Dio: Dio aveva assolto la città, ma Giona continuava a sperare nella sua caduta, perché voleva portare a casa il risultato. Coltivava sentimenti assolutamente negativi, ma pretendeva che Dio avesse cura di lui, come se fosse un suo diritto, nonostante fosse così misero da desiderare la morte di tutta quella gente. Il peccato di Giona era peggiore di quello dei Niniviti, che, a differenza sua, erano privi di discernimento.

Qualcosa di molto simile capitò a Naaman il Siro: egli cercava guarigione dalla lebbra, ma Dio voleva innanzitutto liberarlo dall'orgoglio, e lo mise in condizione di umiliarsi; Naaman fu guarito innanzitutto dalla propria durezza (2Re 5). È Dio che stabilisce le priorità per la nostra vita: Lui solo sa di cosa abbiamo realmente bisogno.

Tornando a Giona, è incoraggiante vedere come Dio continui a dialogare con dolcezza con il Suo servo, nonostante la sua ottusità. Piuttosto che rimproverarlo aspramente, preferisce farlo riflettere ponendogli delle domande: è giusto quello che stai facendo? perché non provi a metterti nei miei panni?

Molte volte i nostri pensieri non sono allineati con quelli di Dio: mentre noi ci aspettiamo che Lui faccia qualcosa che appaghi il nostro io, Lui è interessato ad abbatterlo. Il nostro premio è più che onori e gloria su questa terra: è l'eternità con Lui. La nostra felicità dipende da quanto abbiamo realizzato tutto ciò.

Allora non sentirti più perseguitato da Dio. Non attribuire più le tue disavventure e i tuoi disagi a una bilancia falsa. Mettiti in comunione con Lui, e prova ad ascoltare la Sua voce, che ti chiede di continuo: cosa stai facendo? quando metterai da parte quella forma di rancore che non ti fa essere libero? quando imparerai a fidarti pienamente di me?

"Se dunque siete stati risuscitati con Cristo, cercate le cose di lassù, dove Cristo è seduto alla destra di Dio. Aspirate alle cose di lassù, non a quelle che sono sulla terra; poiché voi moriste e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio. Quando Cristo, la vita nostra, sarà manifestato, allora anche voi sarete con lui manifestati in gloria" (Col 1:1-3).

Dio ci benedica!  

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